Nel Fermano si pagano più pensioni che stipendi. Saldo negativo (-36 mila) anche per le Marche (Ascolta la notizia)

ECONOMIA - L'annunciato sorpasso c'è stato nel 2022. Il numero di pensioni erogate supera quello degli occupati. I dati elaborati dal Centro Studi della Cgia di Mestre evidenziano una situazione di criticità anche nelle Marche dove il saldo è negativo di 36 mila unità. Moda, trasporti, immobiliare, settore ricettivo i comparti più a rischio.

di Sandro Renzi

L’annunciato ma non certo desiderato sorpasso alla fine c’è stato. I dati elaborati dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre sono riferiti al 1 gennaio 2022 e certificano quello che gli analisti avevano da tempo previsto:  il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti). Anche se di sole 205 mila unità, a livello nazionale, dunque, lo Stato deve fare fronte ad un numero di pensionati che supera quello delle persone attive.

Ascolta la notizia:

La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno. Ma non mancano delle eccezioni anche nel Centro-Nord. Tre le Regioni nel mirino: Liguria, Umbria e Marche dove i lavoratori sono meno numerosi delle pensioni erogate dagli altri istituti previdenziali. Secondo l’Ufficio studi della Cgia le ragioni del divario possono essere diverse ma riconducibili principalmente alla «forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione
complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana
nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un
milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700 mila occupati che dopo essere andati in
pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola».
Quali peraltro i settori più penalizzati? Per la Cgia sono l’immobiliare, i trasporti, la moda e HoReCa (settore ricettivo). 
Il rischio concreto è che il Paese, dovendo fare fronte ad una popolazione sempre più anziana, potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura ed assistenza alla persona. «Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo
(HoReCa)».
Altro effetto legato all’invecchiamento della popolazione è la difficoltà di trovare personale. Da tempo, ormai, gli imprenditori, non solo al Nord, denunciano la difficoltà di individuare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato oppure figure professionali di basso livello. «Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono posti di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri» è quanto emerge dallo studio della Cgia che suggerisce pure alcune proposte per contrastare il calo delle nascite: politiche mirate alla crescita demografica (es. aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.), allungare la vita lavorativa (almeno per le persone che svolgono un’attività impiegatizia o  intellettuale), incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro,
innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Ue.

Ma qual è la fotografia che emerge dai dati? A livello provinciale a Messina, Lecce e Napoli le situazioni più “squilibrate”. Le cose non vanno meglio nelle Marche dove spiccano le difficoltà del territorio maceratese: qui a fronte di 133 mila assegni pensionistici staccati ci sono 122 mila occupati (- 14 mila), o di Ascoli Piceno (-12 mila). Per la provincia di Fermo il divario è ridotto: 73 mila pensioni erogate e 70 mila occupati. Ad Ancona il segno meno si attesta su 7 mila: sono infatti 99 mila le pensioni pagate e 92 mila le persone occupate. Solo la provincia di Pesaro Urbino si salva di fatto pareggiando il numero tra pensioni erogate e occupati.
A livello territoriale tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati. In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a -226 mila), Calabria (-234 mila), Puglia (-276 mila) e Sicilia (-340 mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (-36 mila), Umbria (- 47 mila) e Liguria (-71 mila) presentano una situazione di criticità. «Per contro, tutte le altre sono di segno opposto: le situazioni più “virtuose” – vale a dire dove i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate – si scorgono in Emilia
Romagna (+191 mila), Veneto (+291 mila) e Lombardia (+ 658 mila)».


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