di Giorgio Fedeli
Il casus belli questa volta è l’arresto cardiaco che ha colto mercoledì un anziano ad Amandola. Un episodio, fortunatamente, conclusosi con il paziente ripresosi dopo essere stato soccorso da una cardiologa, defibrillato e ricoverato all’ospedale di Ascoli. Ma l’episodio ha fatto nuovamente drizzare le antenne all’ex sindaco del comune montano, Riccardo Treggiari che ha preso carta e penna, e ha scritto una lettera aperta all’assessore regionale Filippo Saltamartini. Treggiari, da sempre in prima linea sul fronte sanitario per la zona montana, parla di “isolamento sanitario” e di una comunità assalita da “rabbia e sconforto che andiamo esternando, inascoltati, da quando siamo stati privati, non solamente a causa del sisma, del nostro Ospedale”.
Ma questa volta l’ospedale di Amandola lesionato dal sisma e quello dei Sibillini, in fase di realizzazione, c’entrano relativamente. Qui parliamo di un arresto cardiaco in strada che impone, in primis, un soccorso sul posto. E subito.
Ebbene, da quanto si apprende, l’ambulanza di stanza ad Amandola, quando l’anziano si è accasciato a terra, era di rientro dall’ospedale Murri di Fermo. Ecco perché a intervenire, dopo la cardiologa, è stata la Croce rossa di Comunanza. Una staffetta che è solo punta dell’iceberg di un malessere diffuso nella zona montana per quello che in tanti reputano un deficit in termini di copertura territoriale dei mezzi dell’emergenza sanitaria. E ciò impone un approfondimento ad hoc. Andiamo dunque ad analizzare lo status montano e, da lì, la rete emergenziale nel Fermano.
Dunque ad Amandola, si diceva, c’è un’ambulanza h24 della Croce Azzurra dei Sibillini. E quando questa, come avvenuto mercoledì, deve muoversi, in sostituzione arriva un’ambulanza della Croce rossa di Comunanza (che è una h12). Nella zona montana opera anche la Croce azzurra Santa Vittoria in Matenano, altra h24. Troppo poche? Certo, si dirà. Ma stando ai parametri di legge sembra proprio di no. I mezzi di soccorso presenti nel Fermano, infatti, rispettano quanto previsto dalla norma. Che parla chiaro: serve un equipaggio Blsd ogni 20mila abitanti, un equipaggio composto da infermiere e sanitari ogni 40mila, e un equipaggio, medico e infermiere, ogni 60mila. Nella nostra provincia operano 9+1 pubbliche assistenze: la Croce verde di Fermo, quella di Porto Sant’Elpidio, la Croce azzurra di Porto San Giorgio, quella di Sant’Elpidio a Mare-Monte Urano, la Croce verde Valdaso, l’Arcobaleno di Petritoli, la Croce gialla Montegranaro, la Misericordia Montegiorgio e la Croce azzurra di Santa Vittoria in Matenano. Quel + 1, poi, sta a significare che la Volontari Soccorso Monte San Pietrangeli e la Croce verde di Torre San Patrizio si alternano, una settimana a testa. Ogni pubblica assistenza, (tecnicamente mezzi di soccorso base) stando alle convenzioni con la Regione, garantisce un equipaggio e un mezzo h24. Ma le più grandi, spontaneamente, senza ulteriori costi per la collettività, quando possono ne forniscono anche un secondo se non un terzo, in caso di necessità. E tutte con equipaggi addestrati al Blsd, insomma preparati per il “supporto alle funzioni vitali di base” con preparazione all’utilizzo del defibrillatore.
Alle ambulanze, poi, si devono aggiungere le automediche. E sul Fermano operano h24 tre equipaggi Msa, ossia mezzo di soccorso avanzato, che si trovano ad Amandola, a Montegiorgio e a Fermo/Porto San Giorgio. C’era anche una Msa a Sant’Elpidio a Mare (h12) ma questo servizio è temporaneamente sospeso per carenza di medici (da troppo tempo, per la verità) attualmente attiva come Msi (mezzo di soccorso infermieristico). Una seconda Msi si trova a Petritoli.
Insomma una rete emergenziale che, nel suo insieme, rispetta i canoni previsti dalla legge e funziona. Ma se si rivolge l’attenzione ai “codici di rientro”, ossia quelli con cui vengono ricoverati i pazienti soccorsi, spunta una problematica di non facile soluzione, che certamente incide sulla presenza territoriale dei mezzi di soccorso: in linea generale, su 100 codici rossi in uscita, solo il 5-10% si conferma tale al rientro. Tirare le conclusioni, a questo punto, non è per niente difficile: c’è un utilizzo improprio del 118. In molti casi si sovrastimano le condizioni del paziente da parte di chi chiama il 118. In altri, e forse è anche peggio, il descrivere una situazione clinica più grave di quella che realmente è equivale a lavarsene le mani “tanto ora ci pensa l’ambulanza”. In altre regioni d’Italia dinanzi a una palese richiesta inappropriata del 118, il servizio viene addebitato al cittadino.
Ma quando è eccessivo chiamare il 118 parlando di estrema gravità? Lecito domandarselo, soprattutto se non si è un sanitario o se si è in preda al panico per un caro in difficoltà. E qui è fondamentale sapersi relazionare con l’operatore del 118 che si trova a decine di chilometri di distanza (nel nostro caso nella centrale di Ascoli Piceno) e deve delineare un quadro clinico in pochi secondi e solo con le indicazioni che gli vengono fornite al telefono. Quindi doveroso seguire alla lettera le istruzioni dell’operatore, addestrato ad essere il più chiaro possibile nelle porre le domande a chi ha chiamato.
Dunque, condizione imprescindibile, avere a portata di vista la persona per la quale si richiede soccorso. A quel punto accertarsi se è cosciente (sì, al 118 sono arrivate anche richieste disperate di soccorso per delle persone che dormivano in strada). Se non risponde, provare con un pizzico sopra la clavicola. Se invece è cosciente, chiedergli se accusa un qualche dolore. Lì si può anche capire se si trovi o meno in stato confusionale. Ecco già emergere un primo quadro sommario. Facile a questo punto promuovere un qualsiasi corso per il primo soccorso, che diventa sempre più importante. Perché l’emergenza funziona meglio se tutti, sanitari certamente ma anche cittadini e esponenti delle forze dell’ordine (che spesso sono tra i primi ad arrivare sul luogo da cui parte l’sos insieme alle ambulanze) apportano il loro contributo. E magari trovare dei fondi per aggiornare costantemente anche le stesse forze dell’ordine, per un rapporto sempre più sinergico con i sanitari, non sarebbe male.
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