Ivano il pescatore, una vita in mare aperto: tragedie, paure e sacrifici ma quanto amore per l’Adriatico

PEDASO - L'86enne pedasino si racconta. Una vita vissuta tra le onde. Oggi è rappresentante dell'associazione Marinai D'Italia. Mille sacrifici, il dolore indescrivibile per la tragica perdita del fratello, anche lui pescatore. Ma l'amore per il mare non è mai svanito

Ivano Capocasa

di Serena Murri

«Il mare è bello ma…è un “tribbolà”», parola di Ivano il  pescatore. Un mestiere, quello di Ivano, che negli anni è cambiato tanto e viene scelto sempre meno dalle nuove generazioni. «Un conto era quando andavamo in mare noi, ritiravamo le nasse e mettevamo le retine a mano. Da lì non si scappava. Ora ci sono i verricelli. Prima era tutto molto più faticoso. Ma posso dirmi soddisfatto. Non ho rimpianti». Ivano Capocasa, 86 anni, nato e vissuto a Pedaso, ormai in pensione ha venduto la sua ultima barca Luigina (dal nome della moglie ndr) quattro anni fa. Ora è un rappresentante dell’associazione Marinai D’Italia, della quale dice: «È bello perché qui siamo tutti uguali, nonostante i gradi, i capitani sono come gli ammiragli».

Capocasa ha iniziato ad andare in mare a 6 anni e quasi non voleva andare a scuola, per seguire il fratello più grande che già “usciva” in Adriatico: «Ci alzavamo alle 3,30 di notte per andare a ritirare le reti». Ha aiutato saltuariamente il fratello, fino al ’43, poi durante gli anni della guerra, è stato sfollato con la famiglia a Campofilone. È tornato in mare da ragazzo: «Andavo da Campofilone a Pedaso a piedi, le barche all’epoca partivano dalla spiaggia sotto alla centrale elettrica. Pescavamo le seppie con le nasse che erano di legno».

Da allora, anche la spiaggia di Pedaso è molto cambiata. «Dopo che hanno fatto il porto di San Benedetto del Tronto – racconta il pescatore – il mare ha cominciato a mangiarsi la nostra spiaggia» mareggiata dopo mareggiata. Si commuove ancora, quando ripensa ai pescatori che non ce l’hanno fatta, ai quali andare in mare è costato la vita. Il primo pensiero è per il fratello, caduto in Adriatico nel ’64 mentre lavorava su un moto-peschereccio in Ancona che al rientro in porto, si capovolse. Tanti i mestieri nei quali Capocasa si è cimentato nel corso della sua esistenza, come meccanico a Milano e cameriere a Forche Canapine, dove ha conosciuto la donna che ha sposato nel ’65, divenuta la madre dei suoi tre figli. Alla fine, però, ha sempre fatto ritorno al mare. Per diversi anni, a Pedaso si è dedicato anche alla sciabica, metodo con cui si pescavano: nuda, alici, sardoncini, sgombri, suri, triglie, zanchette.

Capocasa ha fatto il militare in Marina, a Brindisi, e di quel periodo, dal ’56 al ’58, ricorda un episodio in particolare: «Viaggiavamo da Venezia a Brindisi, con due ‘bettoline’ a rimorchio che da programma avremmo dovuto riempire di nafta, una volta arrivati a Taranto. Il tempo era brutto e la radiotrasmittente aveva annunciato mare forza 8. Il vento e la pioggia erano talmente forti che i “colpi” di mare entravano dalla prua. Abbiamo navigato tutta la notte senza sapere dove fossimo. Dopo Vieste, ci siamo accorti che le ‘bettoline’ erano state spazzate via dalla furia delle onde e siamo dovuti andare a recuperarle fino alle Isole Tremiti».

Al centro, dei suoi racconti, c’è un solo protagonista: il mare inquieto. «Una volta – racconta – tornando dalle coste slave, una zona molto pescosa, imbarcavamo acqua dallo scafo e c’era un forte “garbì” (garbino o libeccio ndr). Siamo stati 10 ore con la pompa in funzione, se l’acqua arrivava al motore era finita. Anche lo scafo era malandato. Alla fine, in qualche modo siamo riusciti a rientrare al porto di Ancona e una volta arrivati lì, ci siamo dovuti far accompagnare a casa».

Un’altra volta, «con il Marta (nome del motopeschereccio) al rientro dall’isola Grossa, di fronte alla costa dalmata, in Croazia, tornando dalla pesca di orate rosse, uno dei marinai più anziani (eravano in 6 a bordo) voleva rientrare per la paura che gli slavi ci rapissero. Siamo dovuti ripartire, con il mare minaccioso da levante, con vento grecale e tramontana. Non si vedeva niente. Ci fermammo poco fuori Ancona. Per fortuna ci raggiunse una grande nave, di quelle che scaricavano il gas a Falconara, che ci affiancò per ripararci. Ma siamo rimasti lì due giorni. Era gennaio e nevicava. Non si vedeva neanche il Conero. Avevamo finito le provviste. Finché è arrivata una schiarita e siamo riusciti a rientrare ma con onde alte 10 metri». Tante le esperienze di vita vissuta dalle quali Capocasa ha tratto un solo grande insegnamento: «Il mare è sempre rischioso. Ci vogliono sempre attenzione ed esperienza».


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