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Trent’anni fa la prima elezione diretta dei sindaci. Fedeli: «La fine dei giochi di partito. Terrei il limite del doppio mandato» Allarme “personalismi”

FERMO - Il primo sindaco eletto in città con la nuova legge: «Quello che mi piace ricordare rispetto alla politica di questo periodo è che non c’era e non c’è mai stato un attacco personale. Alla base di tutta l’attività c’erano una visione e una critica, ma rimanevano il rapporto umano e il rispetto del costume politico. Insomma, c’era uno stile che si è perso. In questo senso, mi sembra di poter dire che c’è una deterioramento nel senso dei ‘personalismi’, che non riguarda le idee. Ed è questo un allarme che va lanciato»

Ettore Fedeli

di Daniele Iacopini

Trent’anni fa l’entrata in vigore il nuovo sistema elettorale per i Comuni (legge n.81 del 25 marzo 1993), una riforma che consentì per la prima volta l’elezione diretta dei primi cittadini e che rappresentò una sorta di spartiacque tra due stagioni della politica. Nelle intenzioni del legislatore, mirava a riavvicinare proprio cittadini e istituzioni dopo il caos e la sfiducia di quegli anni. Ad oggì – in un Paese che dibatte continuamente di legge elettorale e con una premier che avvia una nuova stagione di riforme – rimane il più longevo sistema di votazione.


A Fermo sono 4 i sindaci eletti negli anni con questo sistema: Ettore Fedeli, Saturnino Di Ruscio, Nella Brambatti e Paolo Calcinaro.
Alla vigilia della nuova tornata elettorale che riguarda 15 comuni marchigiani, abbiamo chiesto al primo sindaco, attualmente fuori dai giochi, una valutazione della sua esperienza alla luce delle prerogative concesse dalla legge, nonché un’analisi della politica in generale alla luce delle trasformazioni avvenute nel corso degli anni.
Il prof. Ettore Fedeli è stato sindaco di Fermo per due mandati (nel 1993 e nel 1997), ma primo cittadino anche alla fine degli anni ‘70, in un contesto politico e in una città di molto diversa da quella che poi è diventata.

 

«Nel 1993 abbiamo votato per la prima volta con la nuova legge – ricorda – In precedenza, con il sistema proporzionale, i cittadini votavano i partiti e il programma, poi erano gli stessi partiti e i consiglieri a scegliere il primo cittadino. Insomma, si votava e poi si aprivano i giochi sui quali i cittadini non avevano il controllo. Chi garantiva, dunque, gli elettori stessi del fatto che venisse rispettata la loro scelta? Quale trasparenza, quale chiarezza c’era per loro? Io ero entrato in Consiglio comunale nel 1975 – afferma – poi ci sono rimasto diversi anni. Ho fatto una prima esperienza da sindaco ‘in contumacia’ (scherza, ricordando come l’allora Pci fece il suo nome mentre lui si trovava in vacanza con la famiglia, ndr), poi nel 1985 uscii dal Pci e lasciai la politica attiva».

 

Dopo pochi anni cadde il muro di Berlino e Tangentopoli cambiò il corso della politica italiana. Due momenti importanti, decisivi. Da qui la necessità di cambiare anche la legge elettorale dei Comuni. Una riforma che dà più potere proprio ai sindaci e che però, forse (questa è l’accusa che a volte viene avanzata) presta il fianco a eccessivi protagonismi e personalismi.
«Non c’è solo l’elemento del personalismo – precisa Fedeli – Il rischio c’è ma la legge dà il potere di scelta all’elettore e lo fa con il meccanismo del doppio turno. Con il ballottaggio, poi, viene data possibilità di scelta anche a chi non ha votato al primo turno quella coalizione. Il sindaco ha anche la facoltà di annunciare prima la sua giunta, dando un elemento di trasparenza in più. Altro aspetto – continua Fedeli – è il limite del doppio mandato. In questo momento si sta discutendo del terzo mandato, ma io penso che vada mantenuta la limitazione attuale: il principio è che deve esserci un avvicendamento alla guida di una città, al di là del fatto che si sia svolto bene o male il proprio compito».

«Io stesso – aggiunge – ho corretto una impostazione eccessivamente personalistica del ruolo di sindaco. Dopo il primo mandato, infatti, ci si rende conto che amministrare è complesso e serve stabilire un rapporto stretto con il Consiglio comunale. Non ci si può dimenticare, insomma, che la città è molto più ampia e che si è stati eletti anche grazie ai voti di altri. Chi amministra deve creare un senso di partecipazione nei cittadini».

Tornando al 1993, l’ex sindaco aggiunge: «Contestualmente alla riforma elettorale venne fatta la riforma della pubblica amministrazione, distinguendo tra una gestione politica e una dirigenziale. Precedentemente a questa norma c’era una commistione che andava certamente superata».

Legge elettorale nuova che, da subito, ha fatto il paio con la sostanziale nascita del civismo… «Nel 1993 la Dc era diventata Partito popolare – ricorda Fedeli – e io feci una coalizione con la lista Unione laica e progressista, che era una lista civica con un richiamo chiaro a una idealità generale. Nel secondo mandato arrivò un’altra lista civica, denominata Nuova Cittadinanza. C’era l’esigenza di colmare le lacune dei partiti dopo la perdita di credibilità dovuta alle note vicende. Ma quello che mi piace ricordare rispetto alla politica di questo periodo è che non c’era e non c’è mai stato un attacco personale. Alla base di tutta l’attività c’erano una visione e una critica, ma rimanevano il rapporto umano e il rispetto del costume politico. Insomma, c’era uno stile che si è perso. In questo senso, mi sembra di poter dire che c’è una deterioramento nel senso dei ‘personalismi’, che non riguarda le idee. Ed è questo un allarme che va lanciato».

 

C’è un filo che unisce l’attività politica di Ettore Fedeli alla sua attività attuale di presidente dell’Università Popolare di Fermo, che collabora con l’ente “Fermo città dell’apprendimento” per contribuire alla realizzazione degli obiettivi assegnati alla città con l’attribuzione del titolo di “Learning city” dell’Unesco. Il filo conduttore, dicevamo, è quello della memoria e del coinvolgimento, del protagonismo. «C’è un città nascosta – conclude Fedeli – e c’è un compito impegnativo come quello che ci ha affidato l’Unesco. Questo è ‘fare politica’: una politica popolare, appunto, nel senso di inclusiva e rivolta a tutti». Quanto alla memoria, l’intento è quello di riscoprire anche le radici della città, coinvolgendo. «Questa è la politica, la ‘polis’. Ognuno si sente e deve sentirsi partecipe di qualcosa».

 


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