di Giuseppe Fedeli *
«Da un po’ di tempo a questa parte è di moda il gesto autolesionistico. Per sentirsi vivi, gli adolescenti, molti dei quali già morti in vita – non tanto per cause endogene, quanto per l’orizzonte corto, desertificato, che li circonda- si procurano tagli su parti del corpo. Il gesto, di valenza altamente simbolica, porta il marchio del nichilismo. La condotta autolesiva, per essere tale- dal punto di vista psicologico- deve essere preceduta da una o più delle seguenti aspettative:
– ottenere sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo;
– risolvere una situazione relazionale;
– indurre una sensazione positiva.
Il vuoto esistenziale schiaccia i giovani di oggi, soffocandone ogni anelito: al punto che, per sentirsi vivi, questi si espongono, tramite i social – luogo deputato alla negazione della relazione “fisica”-, all’agora virtuale, postando il taglio, meglio se ancora sanguinante. Sotto il profilo sociologico, la questione è molto ardua da sviscerare, e intricatissimo il nodo da sciogliere. I giovani si procurano dolore seguendo l’istinto connaturato all’uomo (“rimedio” del «chiodo scaccia chiodo»), cioè a dire, cercando di lenire una sofferenza insostenibile (preoccupazioni ansiogene, che generano pensieri ossessivi, spaesanti) con un’altra, che la superi in intensità e grado. Ma questa lettura del fenomeno affonda le radici in terreni viscosi, difficili da dissodare e investigare, e rischia di essere riduttiva».
«Il nodo, a mio parere, è che i giovani vogliono essere al centro dell’attenzione, e il grande inganno dei nostri tempi, che transita alla velocità di miliardi di bites, è che i social -vettori di informazione/comunicazione e sensazioni, dei quali consentono la fruizione- recitano la parte del Grande Bugiardo. Distopia che porta a una implosione che, per essere gestita, a sua volta fa scattare l’impulso al gesto liberatorio, autodistruttivo. E come ogni “simbolo” forte, il sangue attrae e al tempo stesso respinge. Un gesto altamente emulativo, che ratifica l’appartenenza al “branco”. Un modo/moda (che non si sa se ne sia la causa o l’effetto), che sottende la verità scottante, di cui noi adulti prendiamo atto, inermi. Cosa fare per arginare il fenomeno, e spezzare la spirale perversa, è l’inquietante interrogativo, che non fa dormire sonni tranquilli, specialmente a chi, di questi giovani è, per sua natura, il tutore».
* giudice
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