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«Giustizia predittiva, l’intelligenza artificiale e la centralità dell’umana decisione»

L'ANALISI di Giuseppe Fedeli: «Non pochi sono gli interrogativi e le implicazioni, etiche e legali, che si legano all'uso dell'I.A. Il nodo fondamentale è che, modulandosi le pronunce giudiziali alla stregua di algoritmi, ed essendo le medesime (salvo casi seriali e di facile interpretazione) di loro natura complesse, non possono, per forza di cose, prescindere dalla “struttura” etica ed “emozionale” dell'uomo. Sostanziandosi la decisione un ragionamento squisitamente “umano”, l'atto esibisce il “dramma” (il dilemma) della Giustizia»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Il grande giurista Francesco Carnelutti sosteneva la sacralità dell’uomo, e che solo tramite il giudizio è possibile attingere il valore dal fatto a partire da un piano più alto, cui solo la coscienza dell’uomo ha le chiavi per accedere.
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Sin dall’antichità l’uomo ha sentito il bisogno di divinare il futuro, per essere preparato e per dare una risposta all’ansia legata all’incertezza, Nelle società antiche, la capacità di prevedere il futuro era spesso associata a figure religiose o spirituali, come i profeti, i sacerdoti o gli sciamani, le sibille cumane ed altre figure mitologico/archetipiche. Dalla fine del secolo scorso sono cambiati i modelli e i metodi, si utilizzano strumenti più scientifici e tecnologici (in particolare, l’intelligenza artificiale), per fare previsioni in vari campi, fra cui il diritto (c.d. prediction technology o giustizia predittiva). La finalità è prevedere le decisioni giurisdizionali mediante algoritmi “addestrati” all’analisi di database contenenti precedenti ed altre informazioni, utili ad incrementare il grado di certezza del diritto e la qualità delle decisioni, nonché di risolvere altri problemi della giustizia come le, da tempo intollerabili, lungaggini processuali.

È noto quanto la giustizia nel nostro Paese sia congestionata, registri arretrati endemici, sia farraginosa nei meccanismi e spesso non funzioni proprio. Sappiamo anche come la fiducia del cittadino nella giustizia sia andata man mano scemando, e gli stessi operatori del diritto hanno piena ragione a lamentare le mille inefficienze e “storture” del sistema. Sicché si invoca una riforma radicale, che possa infondere nuova linfa a questo meccanismo inceppato. Le tecniche di apprendimento automatico, di cui è dotata l’I.A. (Artificial Intelligence) possono essere usate per analizzare enormi quantità di dati: normativa, precedenti giurisprudenziali e pronunce di tribunali, dottrina e interpretazioni, in modo da poter fornire proiezioni probabilistiche circa gli esiti dei contenziosi. L’operatore pratico, basandosi sulle previsioni circa l’esito della causa, valuterà se procedere con l’azione legale o tentare la via stragiudiziale; la strategia difensiva più appropriata, in funzione delle probabilità di esito positivo: il che avrà effetti “implementativi” anche e sopratutto su chi domanda giustizia. Dall’altra parte, il magistrato potrà far tesoro di queste “potenzialità”.
Ovviamente, non pochi sono gli interrogativi e le implicazioni, etiche e legali, che si legano all’uso dell’I.A. Il nodo fondamentale è che, modulandosi le pronunce giudiziali alla stregua di algoritmi, ed essendo le medesime (salvo casi seriali e di facile interpretazione) di loro natura complesse, non possono, per forza di cose, prescindere dalla “struttura” etica ed “emozionale” dell’uomo. In pratica, sostanziandosi la decisione (da de-caedere, tagliare uno dei due “rami”, dunque scegliere) un ragionamento squisitamente “umano”, l’atto esibisce il “dramma” (il dilemma) della Giustizia. Che, come insegnava il Carnelutti, è il più alto e doloroso cimento di chi è chiamato a dire l’ultima parola sul caso da risolvere.

* giudice


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