di Giuseppe Fedeli *
Si è acceso il dibattito sulla opportunità o meno di seguire i figli nei loro “spostamenti” (anche virtuali) sfruttando le potenzialità della moderna tecnologia, che si avvale di software sofisticati e applicazioni varie, installate su smartphone e strumenti del genere. Ritengo che quest’opera di “spionaggio”, sdoganata dai genitori “controllori” come atto per una miglior tutela dei figli, considerato il contesto aspro e ostico in cui si trovano a muoversi e agire le nuove leve, denunci una carenza di fondo: vale a dire una mancata fiducia nel reciproci rapporti, che affonda le radici in là nel tempo. In altre parole, se si instaura con i figli un rapporto di fiducia e collaborazione, non c’è bisogno di “pedinarli” tramite app dedicate, di seguirli cioè a “distanza” (che, virtualmente parlando, può essere la distanza che separa una stanza da quella attigua).
Ciò comporta, oltretutto, una manifesta violazione della privacy che, nel caso dei nostri ragazzi, assume anche un altro significato, che è quello di sfera privata intesa come spazio personale e protetto, interdetto agli “altri” (il che, se coltivato in una sfera di solitudine esistenziale, può portare all’isolamento del soggetto, alla illusione che un rapporto virtuale sia equiparabile nella sostanza a uno “reale”. Ma questo aspetto involge una serie di considerazioni, che esulano dal tema d’indagine). In questo senso la privacy rappresenta, su questo sono d’accordo i sociologi, un luogo sicuro, in cui i nostri ragazzi possono essere se stessi, possono sperimentare la propria autonomia e costruire la propria identità: in una rete di interrelazioni che dovrebbero concretarsi nel “darsi”, e dirsi, entro uno spazio fisico, reale, in modo libero e consapevole. «Invadere la privacy di un adolescente controllando il suo telefono può avere diverse conseguenze psicologiche», osserva Giovanna Crespi, segretario della Società italiana di psichiatria forense.
L’intromissione, aspetto non ultimo in relazione al fenomeno, viene a lacerare quella trama che dovrebbe costituire, nel tempo, il tessuto connettivo di una relazione, la cifra di ogni atto e di ogni parola. Di quelle parole che, se non sono state dette a tempo debito, urleranno poi, quando non ci sarà più tempo di farle quietamente parlare.
* giudice
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