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“Pornografia delle immagini” e spettacolarizzazione del dolore

L'ANALISI di Giuseppe Fedeli sulla spettacolarizzazione della cronaca nera e del dolore

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Da tempo molti programmi televisivi, in relazione a fatti di cronaca “nera”, mettono in risalto il dolore delle vittime o dei parenti di queste ultime, con il pretesto di svolgere un approfondimento giornalistico. Che, ad essere oggettivi, è uno scoop, che si sviluppa, ricorrendo sempre più spesso alla formula dell’infotainment: vale a dire alla coniugazione dell’informazione con l’intrattenimento, per catturare l’attenzione del pubblico. Ciò benché esista, quanto meno sulla carta, un codice etico dei giornalisti. Di qui l’espressione “tutto fa spettacolo”, soprattutto il dolore condito di lacrime, protagonista la Grande Assente: la morte, quasi sempre per mano ignota.

L’utente prova piacere di fronte alle affabulazioni che riguardano il dolore, sì da rimanerne quasi affatturato. Far leva sull’empatia è, d’altronde, la più antica tecnica di persuasione, il cui principale obiettivo è riuscire a far immedesimare lo spettatore nella storia e nei suoi protagonisti. In tal modo, l’utente scarica sull’altro-da-sé le proprie frustrazioni, e soprattutto le ingratitudini della vita, che generano sofferenza e ansietà. È un pò l’effetto che la tragedia, nell’antica Grecia, aveva nello spettatore, vale a dire la catarsi, la purificazione dalle passioni (Aristotele). Con la differenza che oggi c’è di mezzo una operazione sottile e subliminale di marketing, volta a scopi tutt’altro che lodevoli: rimpinguare sempre di più le casse di quella parte del “Quarto potere”. Non va, inoltre, sottaciuta la scorrettezza deontologica, che si attua in direzione duplice: in primis, viene celebrato in anteprima un processo “in diretta”, quando le indagini sono ancora secretate, con divulgazione di intercettazioni, in violazione delle norme del codice di procedura penale e delle leggi speciali. Senza contare che ciò istiga l’opinione pubblica a sbattere il mostro (che non è ancora imputato, né tanto più giudicato in maniera definitiva, per cui vale nei suoi confronti la presunzione di innocenza) in prima pagina, con il codazzo di cicisbei, accompagnato dalla grancassa di media, e con grave danno al processo, che dovrebbe celebrarsi davanti a un regolare consesso giudicante. In secondo luogo, questa pratica stimola atti di emulazione, negli adolescenti in particolare, i quali si ispirano a queste tragedie per costruite a tavolino (o riprendendo dal vero) storie vuote quanto terrificanti, che gli adepti del verbo cibernetico immortalano con i “famigerati” video. Dove vince chi è più cinico, spregiudicato, a che il suo gesto diventi virale, per essere riuscito a ottenere più like presso le community dei social. Ma così si infrange ogni norma ispirata, dacché l’uomo si è raggruppato coi suoi simili, alla pietas: lasciando a briglie sciolte la parte oscura di sé, che si specchia nel sangue e nelle proprie e altrui lacrime.

* giudice


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