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«Amicizia, l’empatia e il rischio di avvelenamento dettato dall’interesse»

L'ANALISI di Giuseppe Fedeli: «Se empatizzo con una persona, è perché trovo in lei un conflato, una comune direzione, di sguardo ed intenti. È la legge dell'attrazione dei simili. Ma oggi il concetto di amicizia è legato al vantaggio che se ne ricava: do ut des, facio ut facias. Tuttavia, strumentalizzando l'amicizia se ne sconfessa il "concetto" stesso, quella comunione d'anime che la sostanzia, che lega due esseri, accomunati da caratteri e interessi comuni»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Dell’amicizia

“Non camminare davanti a me, non posso seguirti. Non camminare dietro di me, non posso essere una guida. Solo cammina accanto a me e sii mio amico” (Albert Camus). In maniera smaccata, oggi il concetto di amicizia è legato al vantaggio che se ne ricava: do ut des, facio ut facias. Tuttavia, strumentalizzando l’amicizia se ne sconfessa il “concetto” stesso, quella comunione d’anime che la sostanzia, che lega due esseri, accomunati da caratteri e interessi comuni, ovvero da quella complementarità che non solo riempie il cuore, ma che deve essere valorizzata anche dal punto di vista intellettivo, etico. Quando l’empatia lascia il posto all’interesse in senso strettamente utilitaristico (non parlo di interessamento, che è l’inclinazione verso i bisogni dell’altro, la disposizione ad aiutarlo), ti cercano perché gli servi, perché hai una posizione nel consesso sociale, e comunque dacché puoi tornargli comodo.

Ma c’è anche chi, come chi scrive – voce che, da sempre, per postura innata canta fuori dal coro – è alieno da questa logica: che, di converso, è a-logica (nella accezione multiforme di lógos). Se empatizzo con una persona, è perché trovo in lei un conflato, una comune direzione, di sguardo ed intenti. È la legge dell’attrazione dei simili (l’attrazione degli opposti connota usualmente il rapporto coniugale), che spinge l’uno verso l’altro. Nel trattato Laelius de amicitia (scritto nel 44 a.c.), Cicerone afferma che l’amicizia è il dono più grande degli dèi all’uomo, e che non vi è niente di più dolce dell’avere una persona amica con la quale parlare come a sé stessi. Gli fa eco Seneca, il quale, in una delle epistulae a Lucilio, così lo ammonisce: “dividi (misce) con l’amico tutti gli affanni (omnes curas), tutti i pensieri”. Se, invece -e qui si ricongiungono gli estremi del discorso- il rapporto è avvelenato dall’interesse, perde di sua natura le caratteristiche del rapporto amicale, di quel rapporto, che deve essere sempre nutrito dall’amore. La relazione finalizzata a interessi commerciali è un modo di essere, e di agire, ammorbato alle radici. Personalmente, mi vanto di non far parte della categoria dei profittatori, che si avviticchiano sulle altrui esistenze, per suggerne il sangue: pidocchi nel senso greco del termine, a non dire pidocchiosi. Tutto qua: se non fosse che nessuno può rubarti la luce -men che meno le virtù-, traendo da te quel che non gli appartiene, ciò che lo rende ancor più miserabile e anonimo.

* giudice


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