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Viaggio alla scoperta delle meraviglie dell’Arcivescovado di Fermo

FERMO - Da monsignor Alessandro Borgia a monsignor Filippo De Angelis e monsignor Felice Peretti, le origini dell'Episcopato e del Duomo di Fermo. A spasso nella storia di Fermo

di Antonietta Vitali 

Protetta da quel meraviglioso cancello voluto da Alessandro Borgia, la facciata del Palazzo Episcopale di Fermo guarda la facciata dell’abside del Duomo, quasi come se si salutassero e, nel farlo, è come se ogni volta si ricordassero a vicenda, di aver visto e sicuramente, in molti casi anche di aver scritto, la storia della città.

L’origine del palazzo dell’Episcopio è antichissima, la sua prima fase di costruzione risale al 1391 ma ha visto poi ampliare i suoi spazi nel corso dei secoli.

Il restauro e gli ampliamenti più importanti si devono proprio a monsignor Borgia, vescovo di Fermo dal 1724 al 1764. Imparentato alla lontana con i Borgia, quelli “più famosi”, a lui si deve l’acquisto dei locali che affacciano sul cortile interno, che furono destinati alle stalle, mentre la scelta del cancello fu dettata dalla necessità di rendere il palazzo più privato e un po’ più separato da piazza del Popolo. L’episcopato di Alessandro Borgia, durato ben 40 anni, resta ancora il più longevo nella storia dell’arcidiocesi di Fermo.

Sul portone d’ingresso principale troneggia lo stemma del vescovo che fece restaurare la facciata mentre, salendo lo scalone, si accede al primo piano e alla stanza che contiene tutta la storia della Chiesa di Fermo, con i ritratti dei vescovi che si sono succeduti nel corso dei secoli.

Dal primo vescovo di Fermo, Sant’Alessandro, il cui episcopato durò dal 246 al 250 d.C., fino ai giorni nostri con monsignor Conti, già vescovo dal 2006 al 2017. Quasi duemila anni di storia su quel soffitto dove i ritratti vengono impressi, non quando i vescovi muoiono, ma quando lasciano la sede episcopale di Fermo.

Non è ancora tempo di ritratti, quindi, per monsignor Rocco Pennacchio il cui episcopato, iniziato il 14 settembre 2017, è ancora in corso di attività.

Ogni vescovo ha avuto e ha un proprio stemma che lo rappresenta, il leone e il giglio i simboli che componevano lo stemma di monsignor Felice Peretti, eletto poi Papa con il nome di Sisto V, mentre il bastone e la conchiglia sono i due elementi essenziali dello stemma dell’attuale vescovo e che raccontano del santo del suo nome, San Rocco, pellegrino.

Alla nomina a pontefice di monsignor Peretti, avvenuta nel 1585, si deve l’elevazione della diocesi di Fermo ad Arcidiocesi, nominata così il 24 maggio del 1589, con bolla Universis orbis ecclesiis di papa Sisto V.

Al centro della sala dei ritratti la fa da padrone l’angelo alato, stemma di monsignor Filippo De Angelis, secondo al vescovo Borgia per longevità di pontificato. Il suo durò ben 35 anni, dal 1842 al 1877. Nel 1860 si dichiarò contrario all’annessione delle Marche nel Regno Unitario e per questo fu arrestato e condotto a Torino dove scontò sei anni di carcere e conobbe Don Giovanni Bosco. Venne rimesso in libertà nel 1866, tornò a Fermo dove concluse il suo episcopato, appunto, nel 1877.

Il duomo di Fermo (foto Simone Corazza)

In ogni città dove ha sede la diocesi c’è la chiesa più importante della stessa, cioè la cattedrale, ovvero la chiesa dove risiede la cattedra del vescovo. Collocata nel punto più alto della città, cioè sul colle del Girfalco, la cattedrale o Duomo di Fermo risale al 1227. La sua elegante facciata è in pietra d’Istria, materiale non presente all’interno che invece venne completamente rifatto nel VIII secolo.

L’intero complesso nasce su una chiesa paleocristiana risalente al quarto/quinto secolo d.C. dedicata a Santa Maria in Castello che venne distrutta intorno al 1100 dalle truppe di Federico Barbarossa guidate da Cristiano di Magonza.

Due pavoni realizzati a mosaico sono i resti della chiesa paleocristiana scoperti dopo alcuni lavori eseguiti in cattedrale e sono visibili in un punto dell’altare maggiore dove è stato realizzato un tratto di pavimentazione in materiale trasparente. All’epoca della loro realizzazione i pavoni erano considerati un simbolo di risurrezione perché, come riferiva Sant’Agostino, la carne del pavone non imputridisce dopo la sua morte.

Un viaggio, seppur breve, alla scoperta della bella e ricca storia della città di Fermo, quello realizzato martedì mattina, in occasione del Welcome Day dell’Itet Carducci-Galilei, e del quale ringraziare Chiara Curi, collaboratrice dell’ufficio dei beni culturali dell’arcidiocesi di Fermo.


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