«Tempi moderni e i tuttologi del pensiero»

L'ANALISI di Giuseppe Fedeli: «L'outsider, pur dicendosi estraneo al senso comune, non di rado si appiattisce lui stesso su pregiudizi e stereotipi valutativi. Se si parlasse dal pulpito col rigor (nella specie) della lingua latina, molti venditori di fumo (i tuttologi del pensiero) non salirebbero mai alla ribalta»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Tempi moderni

Oggi si vive (in) una confusione talmente spaesante, che riesce difficile volta a volta raccordare il pensiero a una realtà, che non trova più un filo logico cui inanellare uno ad uno i fatti che accadono. La conseguenza di ciò è che si può ragionare come contro-allineati, come esponenti della informazione-contro, nel senso che “storia, scienza e cultura generale sono inquinate dai cattivi intenti delle centrali del consenso”.

In questo caso si ha ampio spazio, e anche buon gioco, ma l’outsider, pur dicendosi estraneo al senso comune – mettendo in forse ogni opinione corrente su qualsivoglia argomento si ponga alla sua attenzione, in base alla constatazione che “è più semplice adagiarsi su una verità calata dall’alto che ragionare e capire se quella poi regge davvero”, non di rado si appiattisce lui stesso su pregiudizi e stereotipi valutativi, che s’incagliano nelle secche del pensiero dominante: il fine, neanche troppo malcelato, è salire sul palcoscenico e dire la sua, in questo mare magnum di chiacchiere scomposte e disordinate, quando non insensate (fenomeno, che il filosofo Heidegger ritiene una forma di degenerazione del linguaggio). La verità è che la riflessione su un clima socio-economico-politico così complesso e disarticolato richiede ben altre “rappresentazioni”, e soprattutto argomentazioni mirate. E, se si scrive, non possono far difetto i nessi logici fra premesse e conclusioni. Forte del motto (dunque del procedere per dubia) socratico, sintetizzo, con Aristotele (ipse dixit!), il discorso in tre semplici verità:

  1. colui che non sa, dice.
  2. il colto dubita
  3. il saggio tace. 

 

PS

Resto della convinzione che lo studio delle cosiddette “lingue morte” (greco e latino) informi di sé non solo la lettura e la scrittura, ma la vita stessa di ciascuno di noi: nello stesso tempo, trasformando la nostra capacità di comprendere chiaramente ciò che gli altri dicono e scrivono, ciò che siamo. Al punto che, è stato giustamente osservato, se si parlasse dal pulpito col rigor (nella specie) della lingua latina, molti venditori di fumo (i tuttologi del pensiero) non salirebbero mai alla ribalta.

 

* giudice


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