Con la Tosca si alza il sipario dell’Aquila: serata di gala per la “prima” a teatro (Le Foto)

FERMO - Questa sera nel salotto più prestigioso della città si è ufficialmente aperto il sipario sulla stagione 2023/24. Tanti i volti noti, istituzioni cittadine e provinciali ad assistere all'opera di Puccini diretta da Giovanni Di Stefano per la regia di Renata Scotto

di Giorgio Fedeli (foto Simone Corazza)

Una serata da “tutto esaurito” quella odierna al teatro dell’Aquila di Fermo per la prima della stagione teatrale 2023/2024 inaugurata con la “Tosca”. La celebre opera di Giacomo Puccini, infatti, ha da subito rapito, già dalle prime note, i presenti alla prima del salotto più prestigioso della città capoluogo di provincia.

Ma prima di accomodarsi sulle poltroncine, tra platea e loggione, tripudio di strette di mano, sorrisi e gossip a inondare il teatro, dall’ingresso al foyer. Si sa, le “prime”, in ogni teatro che si rispetti, sono anche sinonimo, per qualcuno, ma certo non per tutti, di “passerelle”, abiti eleganti, mise e occasioni di incontro. Da qui a commenti, scambi di critiche sussurrate, convenevoli e complimenti di circostanza, il passo è breve. Tutto spesso bisbigliato (e ahinoi troppe volte anche berciato) a denti stretti e con sorrisi tiratissimi, in un mix di circostanza, sarcasmo e opportunità che diventa opportunismo.

Ci sta, è nella natura di ogni evento pubblico, da sempre. Figuriamoci ad una “prima” nel teatro della città capoluogo di provincia. Un’occasione che capita una volta all’anno, per tutti, indistintamente, dove le classi sociali, le professioni, i ceti si annullano…forse. Almeno fino a quando non si accede alla platea, fino a quando non si apre il sipario. In quel momento, infatti, l’ancestrale distinzione tra platea e loggioni (da dove, è risaputo, spesso arrivano le critiche più consapevoli e fondate) rende ovattata la distinzione tra coloro che sono lì davvero per ascoltare, gustare l’opera, farsi trasportare dalle note e dalla trama, e coloro i quali iniziano a sonnecchiare coccolati e cullati da suadenti note per poi, però, strabuzzare gli occhi al primo “inatteso” acuto. Ci sta, si diceva, parliamo di un costume ormai fossilizzatosi un pò in ogni teatro, non solo italiano. E forse proprio i più piccoli, quelli su cui la nostra regione primeggia, sono i più puri e incontaminati custodi delle arti di Euterpe, Melpomene e Tersicore. Tertium non datur. E invece no perché chapeau a chi ha deciso candidamente di lasciarsi accostarsi, magari proprio questa sera, al teatro. Non è mai troppo tardi.

Comunque la si metta, non si può sottacere la virtù di una “prima”, quella ossia di richiamare gente a teatro, di “iniziare” all’Opera, anche fosse per un unico spettatore, in un’epoca in cui la musica con la m maiuscola è ormai merce rara, rarissima. Peccato che poi, purtroppo, l’emozione di quel teatro gremito si concluda troppo spesso con la chiusura del sipario nonostante gli accorati e reiterati appelli degli “addetti ai lavori”, vedasi proprio, ad esempio la Fondazione Lirica delle Marche, a riscoprirlo in tutte le sue qualità, da quelle artistiche a quelle socio-educative facilmente riscontrabili anche nella Tosca, come sottolineato nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento, parlando di soprusi, tema quantomai attuale.

Ma, avendo rubato troppo tempo all’opera (melodramma),  al direttore Giovanni Di Stefano, alla regista Renata Scotto e agli artisti, torniamo sul palco. La Tosca andata in scena questa sera, con un’anteprima giovedì pomeriggio riservata ai ragazzi, definita dal maestro Giovanni Di Stefano «fedele alla partitura», nasce da una collaborazione con la Fondazione Rete Lirica delle Marche e il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona. Per Alessio Vlad, direttore artistico della Fondazione Rete Lirica delle Marche «c’è una immedesimazione del pubblico per il teatro e poi questi teatri di provincia sono il terreno fertile per far crescere nuove generazioni di cantanti e attori».

Silenzio, dunque, siamo al primo atto (fonte Fondazione Lirica delle Marche)
Cesare Angelotti, console della caduta Repubblica Romana evaso da Castel Sant’Angelo, si rifugia nella cappella Attavanti in Sant’Andrea della Valle, dove un sagrestano sta recitando l’Angelus e un pittore, Mario Cavaradossi, lavora a un ritratto della Maddalena (modellata sulla marchesa Attavanti, sorella di Angelotti). Angelotti, credendosi solo, esce dalla cappella e s’imbatte in Cavaradossi, suo vecchio amico; il loro incontro viene interrotto dalla voce di Floria Tosca, cantante amante del pittore. Alla vista del quadro, Tosca, assai gelosa, riconosce il volto della Attavanti; Mario la rassicura e la congeda ricordandole l’appuntamento nella sua casa in campagna, ove promette asilo anche ad Angelotti. Da Castel Sant’Angelo giunge un colpo di cannone, segnale di evasione, e i due amici fuggono insieme. Il sagrestano rientra per un Te Deum per la vittoria delle truppe asburgiche su Napoleone. Sopraggiunge il barone Scarpia, capo della polizia pontificia, sulle tracce del fuggitivo e, interrogato il sagrestano, intuisce l’accaduto. Ritornata Tosca, Scarpia decide di sfruttare lei e la sua gelosia, mostrandole un ventaglio della Attavanti abbandonato in chiesa. Non appena Tosca cercherà Cavaradossi, egli la farà pedinare per scoprire il covo dell’evaso e del suo fiancheggiatore. Risuona dunque un solenne Te Deum”.

Si passa al secondo atto

A Palazzo Farnese si apre il secondo atto. Durante i festeggiamenti indetti da Maria Carolina, regina di Napoli, Scarpia attende notizie dai suoi sbirri: il primo a giungere è il fedele Spoletta, pedinatore di Tosca che, pur non avendo trovato l’evaso, ha arrestato Cavaradossi per complicità. Il pittore nega ogni accusa. Convocata da Scarpia, Tosca è disperata nel vedere l’amante in catene, mentre questi, trascinato alla tortura, la supplica di tacere. Scarpia interroga Tosca che, sulle prime, resiste ma poi, alle urla strazianti dell’amato, rivela il nascondiglio di Angelotti. Scarpia, falsamente clemente, interrompe la tortura e fa portare Cavaradossi al cospetto della cantante. Scoperto il tradimento di Tosca, Cavaradossi si dibatte tra il maledire lei e il gioire per l’ultima notizia: Sciarrone, altro tirapiedi di Scarpia, ha appena annunciato la vittoria di Napoleone a Marengo. Inamovibile, Scarpia condanna il pittore a morte e lo fa trasferire a Castel Sant’Angelo. Tosca vorrebbe seguire il suo amore, ma Scarpia la trattiene proponendole di liberarlo in cambio dei suoi favori. Le squallide avance sono interrotte da Spoletta che annuncia la morte di Angelotti, suicidatosi prima della cattura. Ora la donna accetta di cedere a patto che Cavaradossi venga subito liberato; Scarpia ne conviene ma, per farlo, dichiara che metterà in atto un sotterfugio: la fucilazione verrà eseguita a salve. Tosca chiede anche un salvacondotto per assicurarsi la fuga con l’amante: mentre Scarpia lo compila, non vista, impugna un coltello. Non appena lui la sfiora, lo pugnala a morte e fugge“.

Si volge al termine: terzo atto
Le campane suonano il Mattutino e si ode il canto di un pastore. Cavaradossi è a un’ora dalla fucilazione e affida il suo estremo messaggio d’amore a un biglietto che il carceriere darà a Tosca. La donna, intanto, giunge e racconta tutto. Entra il plotone d’esecuzione con armi che gli amanti ritengono caricate a salve: Cavaradossi però cade sul colpo e Tosca, disperata, scopre l’ultimo inganno di Scarpia proprio quando anche il suo delitto viene smascherato. Prima della cattura, Tosca si lancia dagli spalti di Castel Sant’Angelo”. Sipario.

 

 

 

 

 


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