di Giuseppe Fedeli *
Letterina di Natale
“Dalle periferie ai marciapiedi
un fuoco langue:
d’improvviso, in una grotta
s’accende una luce senza fine”.
Nonostante tutto, nonostante il momento drammatico che stiamo vivendo, come ogni anno, si è in attesa del Natale. Non voglio fare della facile retorica. Mi auguro solo che i cuori, afflitti da una contingenza economica e da una sperequazione sociale al loro acme, sconvolti da guerre, e schiavi – mi riferisco, in particolare, ai giovani – di totem e stereotipi (in specie della coazione al consumo), si stringano intorno al miracolo di un Bambino, che nasce in una mangiatoia, in condizioni di estrema povertà: troppo spesso fra l’indifferenza della gente, se si eccettuano gli umili, i poveri di spirito.
Che il silenzioso evento che ha posto le fondamenta d’una nuova umanità sia allora metafora e carne di una rinascenza, che deve bensì fare i conti con le questioni che sempre più premono, sui corpi e sulle coscienze: ma che ammonisca l’uomo a guardare in alto, a percepire che la lunghezza d’onda di questa Epifania del Divino non ceda alle stracche e opache abitudini, spogliate di ogni afflato: a un Natale insipido, plasticato, laicista, imbolsito nei falsi idoli, volto unicamente a riti orgiastici, che nulla lasciano dietro di sé, se non un senso di sazietà e di vuoto. Il Natale -il vero Natale- abita l’umiltà, la purezza, la vicinanza. Tutto l’altro -ossequiare la tradizione, ritrovarsi nella gioia di una tavola condivisa- ha un significato, solo se ispirato a costumi sani, a quella giusta misura, che dà una pennellata di colore in più al cielo.
* giudice
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