«Il vecchio giradischi, omaggio al vinile»

IL PUNTO - Giuseppe Fedeli: «La “realtà” è diventata tutta un’interfaccia, pura metafisica astrazione, di là della quale c’è il nulla. Stesso destino è toccato alla musica. La musica è divenuta un “file” compresso (incredibile auditu!), fungibile a comando, “dato” che obbedisce al sistema 0101…, in gergo Mp3. Algida impersonale senz’anima, non la “tocchi”, non la “senti” più. E non mi si venga a dire che il digitale ha officiato il requiem dell’analogico, sbaragliando il campo alle configgenti “lisergiche” emozioni»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Lo sfrigolare del vinile sul giradischi, quella voce che non smette di graffiare l’anima, artigliando ricordi sepolti sotto la polvere grigia del tempo. “Tu mi fai giraaar, tu mi fai giraaar….”

Che tempi. Quando ci si perdeva ad ascoltare in religioso silenzio quello che puntine avvezze a solchi consunti “ritornavano” come un’eco di nostalgie inguaribili e d’immagini scampate all’usura degli anni.

Il vecchio giradischi, quello che leggeva anche i 78 giri. Sonnecchia burbero in soffitta, buttato là alla rinfusa insieme a mille altre cianfrusaglie, dissacrato da una falsa ma ineluttabile necessaria condiscendenza, che talvolta assume i tratti del sogno, tal altra il sembiante spettrale delle cose che non ci sono più.

Che tempi.

Nell’epoca della comunicazione interplanetaria multimediale off-limits, del cross-over culturale e del villaggio globale, degli sms e dei blog pieni di vuoto, gloria in excelsis! al nuovo idolo, il computer – e le sue filiazioni dirette, i cosiddetti devices- con tutti i suoi sofisticati algoritmi, le metamorfosi e alchimie digitali!

Allegoria, metafora del reale? Che follia.

La “realtà” è diventata tutta un’interfaccia, pura metafisica astrazione, di là della quale c’è il nulla. Stesso destino è toccato alla musica. La musica è divenuta un “file” compresso (incredibile auditu!), fungibile a comando, “dato” che obbedisce al sistema 0101…, in gergo Mp3. Algida impersonale senz’anima, non la “tocchi”, non la “senti” più. E non mi si venga a dire che il digitale ha officiato il requiem dell’analogico, sbaragliando il campo alle configgenti “lisergiche” emozioni…

In un Cd (o Dvd, ovvero dentro un file archiviato nella memoria del computer) c’entra tanta musica, ma sono dati, assemblati con logica matematica, coazione a ripetere, alla stessa stregua delle notizie e informazioni non-stop che viaggiano alla velocità di milioni di bytes etc etc. Alienazione dell’uomo del terzo millennio, restituito imbelle a sé ed al proprio straniamento. Cara intelligenza artificiale, sei stata tu ad uccidere il fascino e la poesia delle cose.

 

*** ***

 

Il disco è rotto, nella soffitta brulicante di fantasmi e fitta di voci è schiacciato da una congerie di masserizie e suppellettili varie ammannite al passato, restituite alla loro dolorosa inanità.

… ricordo, andavo al negozio di via del Corso a comprare l’ultimo Lp dei Deep Purple o il live dei Genesis (o Venus degli Shocking Blue!), già annunciati clamorosamente da Lelio Luttazzi o ancor prima da Supersonic, trasmissione antesignana dei moderni (ma piatti) format via etere  e, trasognato, mi fiondavo a casa, nel mio personale cantuccio (e guai a chi osava profanare il tempio!) e, dimentico di tutto il resto, propiziavo il rito: in quel silenzio carico di magia – dissigillavo pian piano la copertina del cellophane, che la fasciava stretta come il vestito una donna dalle curve generose…, in quello sfiorarla, e infine toccarla, e annusarla nuda e “vera” c’era un incanto, abitava lo stupore. 

Dall’involucro sfilavo allora la custodia che sapeva di nuovo, ne tiravo fuori il disco, rimirandolo nei suoi solchi ancora intonsi e nei suoi vertiginosi vorticosi giri, per riporlo infine, dopo accurata pulitura, sul piatto. Trasumanante oblio, mistero inattingibile….ma palpabile, con un suo profumo, un colore, un’identità.

Consumato da ascolti e ascolti, accadeva che, col tempo il long playing a tratti crepitasse: “I see trees of green, red roses too/I see them bloom for me and you/And I think to myself, what a wonderful world…”.

Ma forse proprio lì stava l’incanto. 

 

giudice


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