di Giuseppe Fedeli *
La situazione delle carceri, oggi
«Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Matteo, 35-36)
Non si può ulteriormente sottacere la situazione delle carceri italiane. Sempre più frequenti sono gli episodi di morte volontaria dei detenuti, che allarmano e fanno riflettere sulla gestione “politica” (e pratica) degli istituti penitenziari: sovraffollamento, strutture datate, da cui i frequenti suicidi, le criticità più appariscenti. Sulla questione è intervenuto Aldo Di Giacomo, vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp: “Il secondo suicidio a Poggioreale in 24 ore non può ridursi al solito rituale di commozione e rammarico (…). Chi ne paga le conseguenze sono i più giovani e coloro che hanno problemi psichiatrici…Occorre che il Governo si faccia carico di questa situazione. Non è più possibile assistere a questa che è una vera e propria strage”. La funzione rieducativa della pena trova il suo riconoscimento nel 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, il quale sancisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Oggi a livello logistico le prigioni sono ingestibili, non è un caso isolato che una stanza sia condivisa da tre o quattro persone: con le violenze intramurarie, talora inimmaginabili, di cui sono vittima i soggetti più deboli o che, colpevoli di certi crimini, non hanno rispettato il cosiddetto “Codice d’onore”. Alla carenza di spazi si assomma il deficit di ascolto. Ora, è bensì vero che il reo ha commesso un delitto, di cui deve scontare la pena. Ma il focus va spostato su quella che è la politica sulla questione penitenziaria, che pare sorda a esigenze improcrastinabili di vita dignitosa e “a misura d’uomo”. In quest’ottica, lo status di “ristretto in carcere” non rileva: i tragici fatti che si consumano entro quattro pareti suscitano un clamore non solo mediatico, ma a livello di opinione pubblica, e di coscienza: non c’entra la retorica (mascherata sotto forma di buonismo): se le condizioni sono disumane, non c’è scusa che regga. Il Paese deve prendere coscienza che è ormai al capolinea su tutti i fronti, e che non può continuare a fingere, perché il protrarsi di una simile situazione, nonché vergognoso dal punto di vista umano, va a discapito della credibilità del sistema, e, soprattutto, è un abominio. La coscienza di ciascuno di noi si interroghi.
* giudice
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