di Giuseppe Fedeli *
(I) like, ergo sum. Anzi, “sono piaciuto”, dunque sono. Nell’epoca dei sociali network, l’essenziale è apparire; avere tante “amicizie”; tastare l’indice di gradimento di spezzoni della propria esistenza. In difetto di questi presupposti, si è irrimediabilmente tagliati fuori. Dalla piazza, così virtualmente reale, così grande, da adunare tutti. O quasi. Ma che cosa spinge i cybernauti a mettersi a nudo, a porre in vetrina ogni momento della propria quotidianità, anche il più sacrale, intimo, che proprio per questa ragione dovrebbe restare interdetto all’altrui curiosità, all’altrui pettegolezzo? Per quale ragione proprio quei lati di sé, presidiati da un infrangibile divieto d’accesso, sono proprio quelli che si fotografano, o, peggio, vengono postati anche formato movie fra le epiche gesta di Instagram etc etc?
È il fascino del proibito che dà luogo alla trasgressione?…: a mio parere, il leit motiv è un pot-pourri di esibizionismo-voyerismo (onanistico). Ovverosia, è lo spaccato di un pianeta, invischiato nella rete (il web) che, invece di liberare, imprigiona i pensieri, il proprio (modo di) essere, il nucleo più autentico delle relazioni umane. Oggi, secondo il punto di vista -che ormai detta legge- dei social, se non si è in qualche misura protagonisti (come usa dire, “sul pezzo”), non si “è”: sotto il profilo antropologico, esistenziale, “sociale”. Improbabili narcisisti, i “naviganti” (a vista) tentano un patetico riscatto a una vita incolore, meta il tutto/nulla dell’etere. “Realtà” distopica, “virtualmente vera”. il fruitore pensa che mettendo in mostra se stesso e soprattutto le sue cose più gelose -che dovrebbero rimanere custodite in uno scrigno prezioso- possa guadagnare il proscenio: scimmia dei tanti esempi “paranoici” della rete. non vuole farsi sfuggire l’occasione della sua vita. E così, anche un paio di calzetti buttati là a casaccio possono essere oggetto di una rappresentazione: e, per assurdo che possa sembrare, premiati dai like, Al punto da entrare come oggetto di feticismo in una community. L’obiettivo, immancabilmente votato alla illusione, è di essere un “Tú sí que vales” in grazia dei “mi piace” dei proprî “simili”, con i quali -è questo il punto dolente- non si è mai avuta la benché minima relazione, uno interspazio di “fisicità”. È una ruota che ha incominciato a girare e che è ormai senza freni: non c’è più distinzione tra lecito e illecito, La rete parla un linguaggio tutto suo, interdetto ai boomer (molti dei quali, di contro, a loro volta ci sono rimasti impigliati). Un mondo allo sbando, che riflette la caduta nella spirale del consumismo (che partorisce oggetti, ognuno dei quali, nell’atto stesso della fruizione, si consuma), anche della mente (sarebbe più corretto dire il consumarsi della mente). Il prestarsi al gioco di uomini talentuosi è un discorso a parte: tuttavia, avuto riguardo ai personaggi pubblici, vale la stessa antifona, benché questi agiscano per secondi fini, vale a dire per incassare laute prebende. E peggio sarà, se si è arrivati a “postare” (immagine e didascalia) anche il luogo per eccellenza, deputato a un momento di distacco, da tutto e da tutti: il “sito” dove si soddisfano i bisogni fisiologici più elementari.
P.S.
Il paradossale rovescio della medaglia è che, sui social, si può anagraficamente non morire mai.
* giudice
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