facebook twitter rss

«Giovani e lavoro tradizionale, un abbinamento sempre più raro» (Ascolta il podcast)

IL PUNTO del docente di psicologia, Luca Pieti, sul rapporto tra i giovani e il lavoro. «Big quit o quiet quitting, grande abbandono, lavorare il giusto e non di più. Questo il loro manifesto. Come approcciarsi al problema?».

Luca Pieti

Approfondimento di Cronache Fermane a cura dello psicologo e formatore fermano Luca Pieti, docente presso l’Università degli Studi di Padova e presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, nonché autore del libro “Giovani, social e disoccupati” edito da Franco Angeli.

«Non si trovano più giovani disposti a investire nel lavoro tradizionale. Inutile girarci intorno, è un dato di fatto. La cosa tecnicamente affascinante è che quando ho finito di scrivere il libro “Giovani social e disoccupati”, circa un anno fa, il fenomeno analizzato riguardava un’età compresa tra i 18 e i 30 anni – spiega il docente Luca Pieti -. Bene, dopo solo un anno, il fenomeno del disimpegno al lavoro, che nel libro ho definito ‘una generazione che diserta’, ha cominciato a coinvolgere anche persone di 40 e 50 anni. Ebbene sì, anche loro. E non è dovuto solo alla pandemia. Il Covid è certamente complice, ma ha solo accelerato un processo naturale già in atto».

Ascolta il podcast:

«Big quit, grande abbandono, o quiet quitting, lavorare il giusto e non di più. Sono solo alcuni termini che fanno parte del vocabolario della generazione Yolo, you only live once, cioè si vive una volta sola. Il lavoro non definisce quanto vali. Si lavora per vivere, non si vive per lavorare. Questo il loro manifesto. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che le richieste siano sempre state queste. Senza dubbio, verissimo, ma c’è una differenza sostanziale. Ci sono i social network e la loro capacità di amplificare in tempo reale e ovunque questi contenuti. Sono un gigantesco e potente megafono. È chiaro che la situazione è molto seria e non solo per commercianti e imprenditori ma anche per la tenuta economica e sociale. A sua volta incide su tutti coloro che non sono direttamente coinvolti dal fenomeno» sottolinea lo psicologo.

«Puntare il dito con inadeguati appellativi rivolti alla controparte non serve a nulla e ritarda la soluzione – continua Pieti -. Tra l’altro mi pare di capire che la controparte stessa abbia il coltello dalla parte del manico. Cosa possiamo fare? Imparare ad ascoltare, concretamente e volontariamente, quali siano le reali esigenze, le richieste. Questo eviterebbe di cadere in facili errori, come per esempio pensare che il problema sia il salario, perché non è così. È importante conoscere l’ambiente in cui agiscono le nuove generazioni, mettersi in discussione, contrastando le proprie naturali resistenze al cambiamento, soprattutto quando non si è più troppo giovani. E poi informarsi, confrontarsi e, infine, formarsi. Oggi, con la velocità con cui avvengono i cambiamenti, se non ti aggiorni, sei semplicemente fuori. Quando c’è un cambiamento in atto, bisogna saperlo leggere e interpretare per gestirlo al meglio».

«In conclusione – afferma il docente – come sempre, lancio un piccolo spunto di riflessione. Ricordo che, in base alla rappresentazione che abbiamo dell’ambiente o dell’interlocutore, scaturiscono delle emozioni che poi si traducono in comportamenti e azioni. Va da sé che se la nostra rappresentazione non è corretta, anche le emozioni e i nostri comportamenti non lo saranno e questo vale per entrambe le generazioni».


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti