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Manifesti con Ultima Cena e gelati, l’arcivescovo Pennacchio: «Meglio evitare pubblicità che toccano la sensibilità religiosa»

CASO - L'arcivescovo di Fermo, monsignor Rocco Pennacchio, ha detto la sua, dopo la nota della Diocesi, sul manifesti della gelateria Dolce Amore in cui viene raffigurata una parte dell'Ultima Cena ma con sul tavolo anche del gelato: «Come Chiesa, stimiamo tanto quelli che lavorano. Ora immagino che in futuro si possa essere più prudenti»

L’arcivescovo di Fermo, mons. Rocco Pennacchio

di Elia Frollà

Si è trattato, in definitiva, di un tentativo fantasioso per creare una pubblicità accattivante. Senonché, in tanti tra le fila dei cattolici si sono sentiti offesi e toccati nella loro sensibilità. Stiamo parlando dei manifesti della gelateria Dolce Amore in cui viene rappresentata una scena dell’Ultima Cena ma sul tavolo e in mano agli apostoli compaiono anche dei gelati, tra vaschette, coni, coppette e cialde.

Proprio questa “rivisitazione” ha fatto drizzare le antenne alla comunità cattolica del Fermano con il conseguente intervento della Diocesi. E ne è scaturito un acceso dibattito anche sui social. Da un lato, appunto, la Diocesi, che ha giudicato il manifesto «inopportuno, se non offensivo, soprattutto nella Settimana santa».

Dall’altra i proprietari della gelateria che, posti di fronte alle critiche della Chiesa e ad una inaspettata esposizione mediatica, si sono preoccupati di chiarire il loro punto di vista, dichiarando che «non c’era alcuna volontà di offendere la Chiesa e la sensibilità di alcuno». Sul caso è intervenuto anche il  capogruppo consiliare di ‘Fermo capoluogo’ Renzo Interlenghi, che ha parlato, a proposito, di una «strumentalizzazione consumistica» invitando al rispetto dei simboli.

Sulla vicenda, proprio questa mattina, intervistato ai microfoni di Radio Fm1 a proposito delle iniziative pasquali, si è espresso anche l’arcivescovo di Fermo, monsignor Rocco Pennacchio.

«La posizione l’abbiamo espressa nel comunicato che mi pare misurato nei toni. Ed è, quindi, un comunicato che immagino rappresenti il sentimento religioso di molti. Io non amo molto i proverbi, che a volte sono cinici, però ce ne sono alcuni che, secondo me, funzionano: come quello che dice “gioca coi fanti ma lascia stare i santi”. Ecco dunque che per me l’opinione della Chiesa, della Diocesi, è che ci possono essere tanti modi per fare pubblicità, legittimi e a volte anche provocatori. Tuttavia, quando si tocca l’aspetto religioso della vita bisogna astenersi, perché la sensibilità delle persone può essere toccata».

Il manifesto

E ancora: «Detto questo quindi non abbiamo voluto dire che chi fa queste cose viene scomunicato, ci mancherebbe. Dico questo perché poi ho visto anche qualche reazione sui social e si sa i social tendono a polarizzare le questioni. Per esempio, una delle obiezioni o delle osservazioni più ricorrenti riguardava il dire “così avete fatto pubblicità alla gelateria” ma l’obiettivo non era certo quello di non far lavorare la gelateria. A tal proposito ne approfitto per fare una riflessione più generale sul tema dei social: è un’esperienza, questa, che parla dello stare insieme ma in modo divisivo. Infatti, non è possibile, sui social, distinguere quello che può essere un errore o una sbavatura, come può essere stato un manifesto, dall’entità in sé: non si deve bollare una gelateria solo perché magari non si è d’accordo con un manifesto. Allo stesso tempo se come Chiesa abbiamo da dire un pensiero non possiamo, per timore di avere un effetto controproducente, non parlare. Ecco, dobbiamo essere liberi di esprimere la nostra opinione nel rispetto. Come Chiesa, stimiamo tanto quelli che lavorano e a me dispiace che possa essere accaduta questa situazione, ma ora immagino che in futuro si possa essere più prudenti».

In conclusione, indipendentemente dalle intenzioni di chi ha ideato il manifesto e da tutto ciò che è seguito, forse, il fatto invita comunque tutti noi a riflettere sullo spazio da riservare alla religione e alla trascendenza nella società contemporanea, sempre più orientata alla produzione e al consumo.

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