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«Storie di quotidiana follia»

L'ANALISI di Giuseppe Fedeli

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

STORIE DI QUOTIDIANA FOLLIA E DI FOLLIA D’AMORE 

 “Che l’Amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’Amore” (E. Dickinson) 

Mimmo, il bimbo ucciso due volte, così titola in prima pagina uno dei tanti tabloid che occhieggiano nell’edicola. Ucciso dalla mafia, in uno spietato attentato, la mattanza di un borgo del tarantino. ” ‘u peccenne”, angelo dalle chiome bionde come spiga di grano, gli occhi straripanti di cielo, nemmeno tu sei stato risparmiato dalla furia belluina. Ammazzato due volte, perché quando ancora nuotavi beato nell’antro materno, tuo padre veniva anche lui trucidato. In nome della legge del sangue che prevarica col suo volto demoniaco su tutto e su tutti, della legge del più forte, della legge senza legge, mossa da istinti arcaici, animali, de-codificabile solo attraverso i codici “criptati” di una spaventosa libido destruendi che non ha ragione né misura: oi barbaroi, ancora peggio. Mi riesce difficile esprimere il raccapriccio di fronte a tanta ferocia, constatare come a cospetto di tanta malvagità e barbarie si sia tutti disarmati, e si resti sbigottiti, increduli, monadi senza porte né finestre in un mondo che vive e si pasce dell’altrui sangue, e della purezza. Fino a vilipendere e spezzare la bellezza di un fiore, la sacralità di una vita in boccio, l’essere ciò che non è dicibile, e solo si lascia guardare, ammirare, affascinare. Ma la tenerezza e le lacrime non hanno diritto di cittadinanza nel cerchio dei “mammasantissima”, in questa “Gomorra” più “vera” di un serial horror. Sotto choc i fratellini superstiti, titola ancora la pagina del quotidiano, così fragile che al solo sfogliarla par di sciuparla, ridurla cenere, come di cenere è ormai il respiro di Mimmo. Infida giungla che ha spalancato l’abisso della morte sotto il “lieve passo di danza” del bambino: “grazia felice . . . soffio e cristallo” contro il “ruggito di un sole ignudo”: è il paesaggio elevato a emblema della dismisura in Ungaretti. Anche il grande poeta al volo d’Icaro franò ignudo nella voragine: “Tutto ho perduto dell’infanzia/e non potrò mai più/smemorarmi in un grido. L’infanzia ho sotterrato/nel fondo delle notti/e ora, spada invisibile,/mi separa da tutto. Di me rammento che esultavo amandoti,/ed eccomi perduto/in infinito delle notti. Disperazione che incessante aumenta/la vita non mi è più, arrestata in fondo alla gola/ che una roccia di gridi”. Ma chi potrà dire, scrivere queste parole a una corsa a perdifiato brutalmente troncata, a un virgulto strappato violentemente alla terra, ora che mamma (anche lei vittima della strage) e papà sono anch’essi volati verso altri Lidi? La nostra Speranza va però oltre l’ultimo respiro, nella nostalgia d’uno sguardo, o nel dolore incommensurabile di un’assurda resa di conti, che non può conoscere condoni o amnistie, se non nel Cuore imperscrutabile di Dio. 

 

* giudice


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