«Il dialogo e la verità»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Il dialogo e la verità

Inaugurata da Socrate, l’ars maieutica, ossia d’arte di far partorire (come fa la ostetrica) dal dialogo una, sia pur relativa, verità, resta la più convincente fra le discipline, che tentano un punto di ancoraggio lungo il cammino della conoscenza: poiché solo da uno scambio proficuo di punti di vista può scaturire una scintilla di verità. Al contrario, quando una presunta verità è figlia della presunzione di onniscienza dell’io, arroccato nel suo solipsismo, essa resta un autoconvincimento, non soggetto ad alcun filtro, né in termini di contraddittorio con l’altro-da-sé, né in senso
strettamente speculativo. Oggi l’uomo vuole sempre avere ragione, crede di avere la verità in tasca e, in nome di un esasperato soggettivismo e relativismo gnoseologico (nonché etico), evita di confrontarsi con l’altro-da-sé, in una spirale narcisistica destinata ad avvolgersi e ad esaurirsi in se
stessa.

Cercherò di spiegarmi. Se l’uomo, dicevamo, non si pone in rapporto con i suoi simili per cercare di scovare un qualche senso o significato della realtà che egli vive, attraverso le rappresentazioni che ha del mondo, rimarrà per sempre incarcerato nella sua gabbia dorata: fatta di
dogmi, di postulati da lui “inventati” a suo comodo e piacimento, come tali incontestabili. Questo modo di ragionare denota una mancanza di umiltà, che si accompagna al peccato di superbia: per cui ciò che so io, voi non lo sapete; ciò che io so, non può non essere vero! All’opposto, chi ha discernimento cerca il confronto, in quanto è consapevole che il suo punto di osservazione può essere messo in discussione. D’altronde, non è questa la missione della filosofia? Avrete notato che la maggior parte delle persone di una certa caratura, non solo intellettiva, anche davanti ai riflettori sono modeste, quasi in ombra: perché sanno che le loro opinioni sulle cose – chiamiamola pure, con tutte le cautele del caso, verità – possono sempre cedere il passo a un pensiero altro, o a un altro pensiero, che rimette in discussione ciò che si pensava fosse il centro di ogni logica argomentativa. Sì, quelli che la Storia consacra grandi pensatori (intesa l’accezione in senso largo) sono persone umili, che si interrogano continuamente, interpellano la propria coscienza e conoscenza, e l’altro-da sé: per tentare, in una concordia discors, di estrarre, da una foresta di segni e simboli, da una miniera di significanti, qualcosa di stabile (epistème), che possa resistere all’usura del divenire. Vi siete mai chiesti perché l’umiltà della grandezza coincide con la grandezza dell’umiltà?

 

* giudice


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