«Coinvolgere persone intorno a sé, privilegiare la vita di comunità, essere instancabile nel dedicarsi alla parola e quasi preferire più i lontani che i vicini. In questo don Franco credo che abbia anche un po’ anticipato la prospettiva magisteriale che poi abbiamo incontrato nel pontificato di Papa Francesco. Per questo vogliamo dirgli grazie, per la sua tenacia, per la sua visione del mondo e del futuro, per la capacità di non avere paura e di continuare a parlare e non tacere, anche a scrivere. Ci è di insegnamento rispetto a una fede che tende a scontrarsi con la tentazione dell’intimismo, della chiusura, dell’individualismo. lui ha testimoniato che una prospettiva diversa è possibile». Questo il ricordo dell’arcivescovo di Fermo, monsignor Rocco Pennacchio, di don Franco Monterubbianesi, storico fondatore della Comunità di Capodarco scomparso il 27 maggio scorso all’età di 94 anni. Oggi pomeriggio alle 15 le esequie nella Cattedrale di Fermo. Le parole dell’arcivescovo Pennacchio sono arrivate dopo il ricordo di don Vinicio Albanesi, dinanzi a una cattedrale gremita di fedeli, di tanti amici e ospiti della Comunità così come delle più alte cariche civili, religiose e militari del Fermano.
Don Franco era nato a Fermo il 30 maggio del 1931. Il babbo lavorava al Collegio Montani di Fermo, la mamma casalinga, era il primogenito con una sorella sposata con Giovanni, ora scomparsa, zio di quattro nipoti di cui due gemelle. Dopo l’iscrizione alla facoltà di Medicina, chiese di farsi prete. Lo mandarono al Collegio Capranica a Roma, dove studia teologia e filosofia. Rientrò a Fermo e insegnò filosofia in Seminario. Era stato ordinato sacerdote il 19 agosto del 1956. Uno stile tutto suo di insegnamento, ha frequentato il mondo della disabilità con i treni degli ammalati dell’Unitalsi.
L’Arcivescovo Perini lo incoraggiò a far qualcosa per i ragazzi e le ragazze spesso istituzionalizzati in Centri riabilitativi, in realtà semplici contenitori. In una celebre lettera alcuni di loro scrissero di essere stati bene nei tre giorni di pellegrinaggio, ma chiesero qualcosa di più per il futuro. Sorretto da Marisa Galli di Servigliano, donna forte, con una grave disabilità, iniziò una vera e propria avventura. Cercò una casa prima a Loreto, poi individuò una villa abbandonata a Capodarco. Il primo titolo della casa è “Centro comunitario Gesù risorto”. Il tema della risurrezione rientra spesso nei suoi progetti.
Gli inizi della Comunità (Natale del 1966) sono stati veramente poveri. Donazioni per vivere, comprese le vettovaglie, il cibo, le coperte, le lenzuola. Furono di aiuto gli studenti del Montani di cui Don Franco era professore di religione. La città reagì bene. Ancora oggi molte persone ricordano quegli anni come significativi della loro giovinezza. In poco tempo l’ipotesi della Comunità si è propagata in tutta Italia. Iniziarono ad arrivare disabili da varie regioni. Il clima era entusiasta. Si aprì anche la prospettiva di matrimoni tra persone con disabilità con, ad arrivare, i primi figli» l’excursus della Comunità di Capodarco.
Simone Corazza
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