«Tiktok, video virali e meme»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Tiktok, video virali e meme

“Voglio lanciarmi degli oggetti sui piedi e dargli un voto da 1 a 10 in base a quanto sono dolorosi”: il video virale su TikTok

“Non importa più quale sia il contenuto pubblicato, il suo significato o il rischio nel diffonderlo, perché l’obiettivo non è fare conoscere quello specifico contenuto, ma ottenere un seguito”, osserva la psicologa Elisa Balbi: gesti come quello descritto, dice, sono  allarmanti in quanto segnale di una ricerca di stimoli (e consensi) esterni, sempre più forti, in un gioco al rialzo che può generare un disturbo compulsivo dove il piacere, nella metamorfosi allegorica del gesto, è dato dal procurarsi dolore. Fino ad arrivare a farsi davvero male, provando un piacere irrinunciabile, anche quando procura danni.
Con la indistinzione fra il mondo reale (offline) e il mondo virtuale (online), il successo può arrivare attraverso la capacità di creare una rete social digitale, in cui si ha una posizione centrale. Non contano talenti né meriti, la scala valoriale è ormai confinata in soffitta (l’esempio per eccellenza sono i social influencer). Sì che desiderare di attrarre intorno a sé quanti più follower può essere così cruciale, nella vita di una persona, da indurla a compiere gesti estremi. A voler tacere del mercato dei like, da ciò scaturisce una visione del mondo (virtuale), che da un lato soddisfa una sorta di piacere voyeuristico nel guardare un coetaneo provare più o meno dolore, dall’altro incuriosisce e stimola a fare onanisticamente lo stesso (febbre da contagio). E così quel reel visto, commentato, condiviso, replicato diventa un must, il trend del momento. Occorre “orientare i nostri adolescenti verso un uso consapevole del mezzo tecnologico e verso la strutturazione di un’identità personale stabile e realizzata onlife”, conclude la citata psicoterapeuta. In complementarietà, i meme (contenuti, testuali o video, che sono creati, trasformati e diffusi da molti utenti, diventando virali) sono pensati per raggiungere rapidamente un gran numero di utenti. Ciò che motiva realmente a condividere meme è riconducibile al bisogno di sentirsi validati e connessi alla community.

Ora, è troppo facile ammonire i genitori (i primi educatori), che permettono ai figli di usare cellulari e aggeggi varî, addirittura in età prescolare. Urge, invece, una presa di coscienza generale, soprattutto in ambito di educazione scolastica, che sappia veicolare il messaggio: il valore e la valenza del rapporto “a tu per tu” sono di gran lunga più fruttuosi e significativi di quelli consumati online (con tanto di like, s’intende). Rapporti liquidi che si riducono a un pugno di mosche, quando non siano, come nel caso in esame, di per sé lesivi. Quale il rimedio?…”Sorvegliare e punire”, come scriveva Foucault? No, a mio parere non è questa la pedagogia da adottare. Bisogna piuttosto passare più tempo, se ed in quanto possibile, con i figli, facendogli capire come l’uso indiscriminato e continuo dello smartphone faccia male alla salute del corpo e della mente. È un impegno e una sfida per tutti, in primis per i genitori.

* giudice 


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