di Maurizio Petrocchi *
Nelle prime ore di ieri, 13 giugno 2025, duecento aerei israeliani hanno attraversato lo spazio aereo iraniano nell’ambito dell’operazione “Rising Lion”, colpendo il sito di arricchimento nucleare di Natanz e installazioni militari a Isfahan, Tabriz, Kermanshah e Teheran. L’attacco ha eliminato figure chiave della struttura militare e scientifica iraniana: Hossein Salami, comandante delle Guardie Rivoluzionarie, Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore, e gli scienziati nucleari Fereydoon Abbasi-Davani e Mohammad Mehdi Tehranchi. La risposta iraniana con oltre cento droni e missili balistici ha causato tre morti e ottanta feriti in Israele, principalmente nell’area di Tel Aviv.
Il Medio Oriente del 2025 presenta blocchi contrapposti che ricordano pericolosamente l’Europa del 1914. Da una parte l’asse filo-occidentale consolidato dagli Accordi di Abramo unisce Israele, Emirati ed altri Stati. Dall’altra, l’Asse della Resistenza guidato da Teheran comprende Siria, Hezbollah, milizie sciite irachene e Houthi yemeniti, formando un arco d’influenza dal Mediterraneo al Mar Rosso. Le grandi potenze reagiscono in modo contraddittorio: Trump conferma il coordinamento strategico con Israele, la Russia condanna l’escalation trovandosi in posizione delicata per i suoi legami con l’Iran, la Cina chiama alla moderazione temendo per la stabilità energetica globale.
Per comprendere queste dinamiche, lo storico Christopher Clark nel suo “The Sleepwalkers: How Europe Went to War in 1914” offre una chiave interpretativa illuminante. Clark argomenta che la Prima Guerra Mondiale non fu risultato di un piano premeditato ma di decisioni prese da leader che erano “sonnambuli, vigili ma non vedenti, ossessionati da sogni, eppure ciechi alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo.”
I paralleli strutturali sono inquietanti. Come l’Europa pre-bellica era divisa in alleanze rigide che trasformavano ogni crisi locale in potenziale conflagrazione continentale, così il Medio Oriente odierno presenta blocchi con garanzie di sicurezza reciproche che rischiano di trasformare un conflitto bilaterale in guerra regionale. La “trappola della credibilità” che ingabbiò i leader del 1914 si ripresenta: Netanyahu ha ripetutamente definito l’Iran “minaccia esistenziale”, Khamenei promette “vendetta senza limiti”. Il ruolo della tecnologia nell’accelerare i conflitti mostra paralleli significativi: se nel 1914 l’industrializzazione trasformò un conflitto balcanico in carneficina continentale, oggi droni e missili balistici permettono escalation rapidissime che comprimono i tempi diplomatici.
Tuttavia, differenze cruciali distinguono il 2025 dal 1914. Le armi nucleari introducono dinamiche di deterrenza assenti un secolo fa, creando paradossalmente incentivi più forti per la moderazione. Le organizzazioni internazionali come ONU e AIEA, pur limitate, offrono forum di mediazione inesistenti nel 1914. L’opinione pubblica globale, stanca di conflitti mediorientali, non mostra l’entusiasmo bellico dell’agosto 1914. Le comunicazioni istantanee permettono diplomazia in tempo reale impensabile nell’era dei telegrammi.
Gli scenari evolutivi possibili includono l’escalation controllata con scambi limitati per settimane seguiti da mediazione di terzi; la regionalizzazione del conflitto con attivazione dei proxy iraniani e Israele su fronti multipli; la de-escalation diplomatica attraverso canali segreti e concessioni reciproche non pubbliche; o un confronto prolungato a bassa intensità con cyber-attacchi e operazioni coperte che impatterebbero l’economia globale.
L’attacco solleva questioni fondamentali sul sistema di non-proliferazione nucleare e il diritto internazionale. Paradossalmente, potrebbe accelerare la proliferazione regionale mentre altri stati cercano garanzie nucleari proprie. Il precedente per attacchi preventivi contro programmi nucleari sospetti è pericoloso. L’erosione della sovranità territoriale e la marginalizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU sono evidenti. L’impatto economico è già visibile nei prezzi petroliferi e nei rischi per le rotte del Golfo Persico.
Come nel 1914, le percezioni di minaccia diventano profezie auto-avveranti dove la ricerca di sicurezza assoluta produce maggiore insicurezza collettiva. I calcoli razionali individuali generano risultati collettivamente catastrofici. Ma a differenza del fatalismo del 1914, i leader odierni hanno strumenti diplomatici sofisticati, comunicazioni istantanee e la prospettiva storica per evitare errori passati.
Il 13 giugno 2025 sarà ricordato come punto di svolta mediorientale, ma la direzione resta indeterminata. Le prossime settimane determineranno se sarà l’anno di un nuovo equilibrio precario o l’inizio di una conflagrazione regionale. La responsabilità storica pesa su tutti gli attori. Come ricorda Clark, nel 1914 non ci fu un singolo colpevole ma decisioni aggregate che produssero la catastrofe.
* docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo
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