Luciano Moggi da Fermo non le manda a dire: «Bisogna combattere per la Juventus»

FERMO - Il dirigente toscano senza peli sulla lingua: non risparmia l’attuale società bianconera, gli arbitri, l’Inter, Gravina e molti altri nella serata di Villa Vitali per “Strategie vincenti: sport, leadership e confini invisibili”

di Silvia Remoli

FERMO – La suggestiva Arena Villa Vitali ha vestito i colori bianconeri per accogliere Luciano Moggi, figura legata a doppio filo alla tumultuosa storia della Juventus tra gli anni ’90 e il nuovo millennio.

L’ottantasettenne toscano, già dirigente di Roma, Lazio, Torino e Napoli, approdò alla Juve nel 1994, contribuendo alla conquista di 6 scudetti (5 con la Juventus e uno con il Napoli), 3 Coppe Italia (con Roma, Torino e Juve), 5 Supercoppe Italiane, una Coppa dei Campioni, un’Intercontinentale, una Supercoppa Uefa, una Coppa Intertoto (con la Juve) e una Coppa Uefa (con il Napoli). Insieme a Bettega e Giraudo formava la cosiddetta “Triade”, il trio dirigenziale che guidò la Juventus fino allo scandalo Calciopoli (vicenda su cui Moggi si toglierà qualche sassolino dalla scarpa).

“Strategie vincenti: sport, leadership e confini invisibili” è il titolo della serata che lo ha visto protagonista, in un dialogo sul palco dopo un momento conviviale pre-evento con il sindaco di Fermo Paolo Calcinaro e Simone Capriotti, fermano doc, tra gli organizzatori e mattatore dell’incontro.

Michele Rastelli, presidente del Jofc Fermo, ha preso la parola e ringraziato i presenti, tra cui anche i club locali (Offida e Jesi). Accanto a lui, per la Fondazione JB (Identità Bianconera), il presidente Massimo Durante, l’avvocato Michele Patrisso e Simone Brancozzi. Con loro anche Emanuele Frontoni, arbitro e docente universitario esperto di intelligenza artificiale.

È Annalisa Cerretani, assessora al Turismo del Comune di Fermo, a introdurre l’ospite d’onore Luciano Moggi, presentandosi prima come tifosa juventina che come amministratrice. Moggi è partito deciso, schietto  e generoso come pochi, senza peli sulla lingua: ha definito Giuntoli «una brava persona dal punto di vista umano», ma «professionalmente da relegare ad accompagnatore di De Laurentiis».

Per Moggi, Thiago Motta, invece «pecca di vanità, mi sembra tenesse più a sé stesso che alla squadra». E ha scandito a chiare lettere l’esigenza di risvegliare la Juventus di oggi: «Hanno demonizzato Agnelli, Allegri, la Triade. La società dovrebbe difendersi, non cedere al patteggiamento, come invece è successo oggi a Roma, perché nell’immaginario collettivo è un’ammissione di colpevolezza. La vera Juve era quella che vinceva perché era forte e si sudava le partite. Vi ricordo che a Berlino, nel 2006, la finale del campionato del mondo sembrava una partita tra Juventus A e Juventus B: metà Juve era nella nazionale italiana, l’altra in quella francese! E i veri tifosi bianconeri devono scuotere la Juve di oggi, difenderla e stimolarla, spronando chi la guida. Io, per la Juve, feci di tutto. Accettai anche critiche per aver scelto Ancelotti, ma lo difesi, anche dopo quel campionato perso nel pantano di Perugia, regalato alla Lazio (1999-2000): fui criticato. Chi non difendo, invece, è l’arbitro Collina per alcuni episodi a noi sfavorevoli».

Simone Brancozzi è intervenuto, invece, sulla mission della fondazione JB, che intende difendere la Juventus da ogni comportamento lesivo, come dimostra la class action avviata per revocare gli scudetti assegnati all’Inter. «Sarà un percorso lungo – aggiunge Moggi – ma vedrete che la Corte di Lussemburgo darà una bella mazzata». Ha lanciato anche dure critiche alla gestione finanziaria di Lotito e ha chiesto anche la rimozione di Gravina. Un fiume in piena, ma non ama i monologhi ed infatti ha invitato tutti a interagire, mettendosi a disposizione.

Emanuele Frontoni, da arbitro, ha colto l’occasione per chiedere un aneddoto sull’esperienza dirigenziale. «Un dirigente – la replica di Moggi – deve saper tenere lo spogliatoio, a partire dall’allenatore. Ci vuole la “cazzimma”. Dissi a Capello, che è una brava persona, che lui doveva fare il suo mestiere, ma la squadra la facevo io. Per questo non presi Panucci dalla Roma. Sapevo tenere a bada i giocatori: li confessavo senza essere un prete, e davo le penitenze. Camoranesi fu multato per un ritardo. Montero potrebbe raccontarvi che, appena sentiva l’odore del mio sigaro, temeva di aver combinato qualcosa. Ho sempre cercato di avere uno spogliatoio equilibrato con un allenatore credibile. E sapevo fare acquisti: come Zola e Zidane, presi per molto meno rispetto a quanto furono poi rivenduti. Comprai Pippo Inzaghi cedendo Vieri sorprendendo persino l’Avvocato Agnelli».

Il miglior giocatore? «Maradona, in assoluto». Il miglior allenatore? «Ne ho avuti diversi: Lippi, Capello… ma la storia più umana e appassionante è quella con Ancelotti, di cui premiai la serietà, ricollocandolo al Milan dopo una telefonata con Berlusconi». Su Paparesta: «Avrò esagerato? Forse sì, perché sono un sanguigno, mi ribello e non mi genufletto. Ma da qui a parlare di sequestro di persona ce ne passa».

La chiosa con un messaggio ai giovani: «Il mondo del calcio affascina, tutti vorremmo farne parte. Ma è un mondo irrazionale, inaffidabile e imprevedibile. Vi consiglio di continuare a studiare, di allenare il cervello: è la prima cosa che conta, anche, e soprattutto, se avete un sogno da inseguire».

 

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