«Dalle ombre degli anni di piombo ai dilemmi della sorveglianza democratica»

Maurizio Petrocchi

di Maurizio Petrocchi *

Dalle ombre degli anni di piombo ai dilemmi della sorveglianza democratica

Il 1° luglio scorso la Cassazione ha messo un punto fermo su uno dei capitoli più cupi della storia italiana: l’ergastolo definitivo per Paolo Bellini, riconosciuto come uno degli autori della strage di Bologna del 2 agosto 1980. Non è una condanna qualunque. È la conferma, sul piano giudiziario, di una verità storica che per decenni ha incontrato resistenze e depistaggi: la matrice neofascista di quell’attentato e la sua collocazione in una strategia di destabilizzazione che, tra gli anni Sessanta e Ottanta, vide la complicità di settori infedeli dello Stato.

Non si tratta solo di un atto di giustizia verso le vittime, ma di un riconoscimento che contribuisce a consolidare la memoria collettiva del Paese. La sentenza, infatti, sgombra il campo dalle interpretazioni più ambigue: la strage non fu il frutto di un generico scontro fra estremismi, ma di un progetto politico eversivo che puntava a condizionare la democrazia italiana.

A rendere attuale questa vicenda è però il suo inquietante contrappunto nel presente. Proprio mentre la Cassazione chiudeva quel processo, emergeva la notizia di agenti della Polizia di Stato infiltrati per mesi nelle attività di “Potere al Popolo”, un partito regolarmente rappresentato alle elezioni. Il governo ha parlato di “normale attività informativa”, garantendo il rispetto della legge. Tuttavia, la vicenda solleva interrogativi non banali sulla proporzionalità degli strumenti di intelligence, soprattutto quando si applicano a movimenti politici legali.

Il paragone con gli anni Settanta non deve essere forzato né allarmistico, non siamo di fronte a un ritorno della strategia della tensione. Ma la lezione di quel passato dovrebbe metterci in guardia dal rischio di una deriva sorvegliante senza adeguati contrappesi. Allora, l’uso di apparati di sicurezza si accompagnò a logiche di complicità e copertura verso la violenza neofascista, mentre colpiva duramente, ed utilizzava ugualmente, la sinistra sovversiva. Una gestione ambivalente della sicurezza nazionale che contribuì a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Oggi il contesto è molto diverso. Non ci sono bande armate né attentati sanguinosi. Ma proprio per questo l’uso di infiltrati in movimenti di protesta o partiti di opposizione democratica merita un controllo ancora più attento. Perché il confine tra legittima prevenzione e sorveglianza politica può farsi sottile, e rischia di restringere lo spazio del dissenso, che è parte vitale di ogni democrazia.

Non si tratta di negare il bisogno di strumenti di intelligence. Al contrario, in un’epoca segnata da minacce complesse come il terrorismo internazionale, la criminalità organizzata, ed altri attori statali e non, un Paese democratico deve essere in grado di prevenire e contrastare efficacemente i pericoli. Ma il punto è come farlo. Con quali limiti? Con quali garanzie per i cittadini? Con quale grado di trasparenza verso il Parlamento e l’opinione pubblica?
A queste domande si aggiunge un altro fronte, quello della sorveglianza tecnologica. Il caso del software spia Paragon, utilizzato anche per monitorare giornalisti e attivisti italiani, conferma che il problema non si esaurisce con la figura dell’agente infiltrato. Riguarda l’intero ecosistema del controllo e della raccolta di informazioni, spesso avvolto in un’opacità che rende difficile qualunque verifica democratica.

La verità conquistata con fatica sui fatti di Bologna non deve restare una sentenza isolata del passato. Deve spingerci a riflettere su come evitare, oggi, qualsiasi scorciatoia che sacrifichi la libertà in nome della sicurezza. Perché è proprio quel difficile equilibrio che definisce la qualità di una democrazia.

Bologna ce lo ricorda ogni 2 agosto. Sta a noi dimostrare di aver imparato la lezione.

*  docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo


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