«Le Marche e le Zone Economiche Esclusive: dalla tardiva conversione italiana alle sfide adriatiche»

L'ANALISI del professor Maurizio Petrocchi: «La proclamazione delle Zee italiane segna la fine di un'anomalia più che l'inizio di un'avventura. Per le Marche, le opportunità ci sono, ma saranno concrete solo se accompagnate da pianificazione rigorosa, investimenti mirati e, soprattutto, coordinamento istituzionale efficace»

di Maurizio Petrocchi *

Il decreto del Consiglio dei Ministri del 22 luglio 2025 chiude finalmente un capitolo imbarazzante della storia marittima italiana. Dopo oltre due decenni di tentennamenti, l’approvazione del Regolamento per la proclamazione delle Zone Economiche Esclusive rappresenta quello che dovrebbe essere definito non come un’innovazione, ma come un tardivo riconoscimento della realtà. Tra le regioni coinvolte, le Marche si trovano ora di fronte alla sfida concreta di trasformare diritti teorici in vantaggi pratici.
Le Zone Economiche Esclusive costituiscono, secondo l’articolo 55 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Unclos), aree marine estese fino a 200 miglia nautiche dalle linee di base costiere, dove lo Stato costiero esercita diritti sovrani limitati a specifiche funzioni: sfruttamento delle risorse naturali, ricerca scientifica marina, protezione dell’ambiente marino, installazione di strutture artificiali.
Questa giurisdizione funzionale si distingue nettamente dalla sovranità territoriale: nelle Zee permangono le libertà di navigazione, sorvolo e posa di cavi sottomarini per tutti gli Stati. La natura giuridica delle Zee è quindi quella di un regime sui generis che bilancia interessi costieri e libertà marittime tradizionali.

La riluttanza italiana ad adottare le Zee trova le sue radici nella peculiare posizione strategica del Paese durante la Guerra Fredda. Roma privilegiò la libertà di movimento delle flotte alleate rispetto all’estensione della propria giurisdizione marittima, optando per le più limitate Zone di Protezione Ecologica istituite nel 2006.
Questa scelta, perfettamente sensata nell’epoca in cui il Mediterraneo era un lago della Nato, si è progressivamente trasformata in una camicia di forza strategica. Mentre i nostri vicini – Francia dal 1977, Spagna dal 1978, poi Algeria nel 2018, Croazia nel 2003 – estendevano metodicamente la propria giurisdizione marittima, l’Italia rimaneva paralizzata dalle proprie cautele, circondata da acque sempre più “straniere”.
Il risveglio italiano degli ultimi anni non nasce da una visione strategica rinnovata, ma dalla semplice constatazione che il mondo non ci aspettava. Il decreto algerino del 2018, che porta la ZEE di Algeri fino alle acque sarde, e l’umiliante sequestro di pescatori italiani in acque libiche hanno finalmente fatto cadere le illusioni: restare fermi significava essere progressivamente marginalizzati.

Le Zee non sono bacchette magiche per lo sviluppo economico. La storia internazionale ci insegna che la loro efficacia dipende interamente dalla capacità di trasformare diritti di carta in investimenti concreti. La Norvegia ha saputo fare delle proprie Zee il trampolino per un’industria petrolifera offshore da primato mondiale; altri Paesi si sono limitati a guardare il mare dalla terraferma, senza particolare successo.
Per l’Italia, il quadro presenta luci e ombre ben definite. Il settore energetico offshore rimane in gran parte una promessa non mantenuta, nonostante le potenzialità dell’eolico marino. Quanto alla pesca, la realtà è che la nostra industria ittica – frammentata, sottocapitalizzata, spesso ancorata a metodi tradizionali – fatica a competere con le flotte più moderne che già operano nel Mediterraneo.

Le Marche: opportunità e vincoli strutturali

L’inclusione delle Marche nel decreto ministeriale apre prospettive che richiedono realismo più che facili entusiasmi. La regione può contare su 180 chilometri di costa adriatica e su una tradizione marittima radicata, ma di dimensioni tutto sommato modeste. I settori più promettenti sono essenzialmente tre.
1. L’eolico offshore presenta potenzialità tecniche significative, considerando i regimi ventosi adriatici, ma richiede investimenti infrastrutturali consistenti e complesse procedure autorizzative.
2. L’acquacoltura marina può beneficiare dell’estensione spaziale, purché accompagnata da innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale.
3. La ricerca scientifica attraverso le nostre Università può sviluppare competenze specialistiche attraendo fondi europei.
I vincoli strutturali, tuttavia, rimangono formidabili. La delimitazione delle ZEE marchigiane con la Croazia promette negoziati complessi, carichi di storia e precedenti non sempre felici sui diritti di pesca. La sostenibilità economica dei progetti offshore dipenderà da incentivi pubblici che, al momento, esistono più nelle promesse elettorali che nei bilanci reali.

L’Adriatico rappresenta un caso di scuola per chi studia i mari semichiusi: uno spazio ristretto dove la cooperazione regionale non è un lusso diplomatico, ma una necessità pratica. L’esperienza dell’Iniziativa Adriatico-Ionica, lanciata nel 2000, ha dimostrato che gli approcci multilaterali funzionano, quando c’è la volontà politica di farli funzionare.
Le Zee adriatiche potrebbero evolvere verso forme di gestione condivisa, seguendo il modello dell’innovativo accordo norvegese-russo per il Mare di Barents del 2010. Ma questa prospettiva richiederebbe una maturità diplomatica che l’Italia ha mostrato solo a intermittenza nelle questioni marittime, spesso preferendo l’improvvisazione alla strategia di lungo periodo.

La proclamazione delle Zee italiane segna la fine di un’anomalia più che l’inizio di un’avventura. Per le Marche, le opportunità ci sono, ma saranno concrete solo se accompagnate da pianificazione rigorosa, investimenti mirati e, soprattutto, coordinamento istituzionale efficace.
Il banco di prova sarà la capacità delle istituzioni regionali di elaborare strategie marittime coerenti, evitando tanto gli entusiasmi di facciata quanto la sottovalutazione delle difficoltà reali. Le Zee sono uno strumento, non una panacea. La loro efficacia si misurerà dalla capacità di trasformare diritti astratti in vantaggi concreti per le comunità costiere marchigiane.

* Prof. Maurizio Petrocchi, PhD
Università di Macerata
Storia del Giornalismo e dei media digitali.
Ecole de guerre Economique, Paris – Rabat


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