Sabato 6 settembre (ore 21,30), nella Chiesa di Santa Maria in Muris a Belmonte Piceno, il Festival Storie dedica una serata speciale al ricordo del cardiochirurgo pediatrico Carlo Marcelletti. L’incontro vedrà protagonista il giornalista e scrittore Vincenzo Varagona, autore del libro “Le mani nel cuore” (Vydia editore), che raccoglie testimonianze di familiari, colleghi e pazienti. Varagona sarà intervistato dal giornalista Fabio Paci. Sarà presente l’editore Luca Bartoli. Un’occasione preziosa per ripercorrere la vita di un medico geniale e innovatore, capace di rivoluzionare la cardiochirurgia pediatrica salvando migliaia di bambini e formando un’intera generazione di chirurghi.
Varagona, nel libro emergono sia la genialità professionale sia l’umanità di Marcelletti. Quale delle due dimensioni l’ha colpita di più nel raccogliere le testimonianze?
«L’umanità, sicuramente. Mi ha colpito tanto l’affetto che, a distanza di 16 anni dalla scomparsa, i suoi pazienti continuano a riservargli. Oggi hanno 40-45 anni, erano neonati quando sono stati operati e soprattutto salvati. Nei loro occhi colgo un sentimento che sfiora la venerazione, che non è legata solo alle indiscusse capacità, ma soprattutto a un altro sentimento che si chiama amore. Colpisce il legame creato con i pazienti: amicizia profonda. I pazienti oggi dicono: “Non sappiamo come facesse a ricordarsi tutti i nostri nomi”. Veniva inviato alle feste dei pazienti neo diciottenni e lui si raccomandava: “Non è che ti comprano il motorino e mandi alle ortiche tutto il lavoro che ho fatto?”. Ecco, questo era Marcelletti».
I bambini salvati da Marcelletti oggi sono adulti e molti dei suoi collaboratori sono diventati primari: qual è il lascito più grande che ha lasciato alla cardiochirurgia italiana ed europea?
«Innanzitutto quello di essere un genio che, conoscendo la fatica necessaria per arrivare dove era arrivato, non diceva no a nessun candidato che desiderasse far parte della sua squadra. Non tutti resistevano, ma lui una possibilità la offriva a tutti. Chi lo conosceva a un meeting in Toscana e gli chiedeva di essere messo alla prova si sentiva rispondere: sì certo, si presenti lunedì ad Amsterdam… Secondo: la visione. Per lui nulla era impossibile. Infatti interveniva dove altri rinunciavano e spesso i risultati gli davano ragione. È incredibile vedere l’affetto di genitori i cui figli, operati, non ce l’avevano fatta. Marcelletti aveva fatto l’impossibile e loro gliene erano grati. Terzo, il senso della missione del medico: Marcelletti era un po’ il Robin Hood della sanità: chi poteva pagava, e bene. Chi non poteva, veniva operato anche gratis. Infine, il principio della sanità diffusa: per evitare tanti viaggi della speranza, aveva aperto 20 ambulatori in tutt’Italia. Lui viaggiava, di notte viaggiava, dormiva quasi niente e di giorno visitava o operava. Il suo autista e braccio destro nel libro ricorda che in un anno facevano qualcosa come 200.000 chilometri».
Il libro racconta anche le difficoltà e le vicende giudiziarie che hanno segnato gli ultimi anni della vita di Marcelletti?
«Questo capitolo è solo accennato, per un patto stretto, volentieri, con i pazienti, che hanno, compattamente, accettato la collaborazione chiedendo che il libro fosse focalizzato sull’impegno sanitario di Marcelletti. Non escludo, tuttavia, di lavorare sulla cosiddetta questione palermitana, con calma, dando voce a tante testimonianze raccolte proprio a Palermo, dopo l’uscita del volume».
Cosa pensa possa insegnarci oggi la figura di Marcelletti, non solo ai medici ma a chiunque si occupi di bene comune e di responsabilità sociale?
«Mi ha colpito molto un dato: le Marche hanno due top player della sanità mondiale in un fazzoletto di terra. Carlo Urbani e Carlo Marcelletti sono nati e riposano a tre chilometri di distanza. Hanno in comune il sogno di una vita diversa, che passa attraverso una sanità diversa. Urbani, irritato dal fatto che pur essendo dirigente Oms non era riuscito a intervenire sull’arroganza delle multinazionali del farmaco che investono solo dove c’era profitto, lasciando morire bambini malati di schistosomiasi. Marcelletti sognava una sanità diversa. In controtendenza con tanti colleghi era passato dalla sanità privata a quella pubblica. Gli esempi di questi due uomini, i loro sogni, oggi ci guidano».