Un piceno tout court

DAVOLI VOSTRI 2 - UN PICENO TOUT COURT, fotoritocco

 

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di Filippo Davoli *

Reduce da un invito in terra di Sardegna per presentare il mio ultimo libro. I gentili isolani mi avevano anche offerto la possibilità di un week end sul mare. Ho chiesto la possibilità di una permuta che li ha lasciati basiti: posso fruire della minivacanza nella mia terra d’origine? Risposta negativa, in mezzo alla perplessità dei loro sguardi: ma cosa manca al nostro mare, scusi? – niente, non manca niente tranne una cosa: il mio cuore.

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Non c’è niente da fare: per me vacanza equivale a Fermo-Porto San Giorgio, non ci sono alternative. Solo a “casa mia” riesco a riposarmi davvero, perché cambio totalmente il parterre delle frequentazioni, ma rimango comunque in un ambito familiare in cui nuoto a completo agio. Ogni giorno di ferie vissuto altrove, anche in passato, mi sembrava di sentire l’orologio ticchettare “un altro minuto in meno da passare a Fermo”, cosìcché alla fine mi sono rassegnato (molto volentieri) al mio destino. Quello d’essere un piceno tout court, sia pure con le ascendenze emiliane (che tuttavia in me suonano settembrine, ottobrine, o primaverili, non oltre).
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Da buon fermano figlio di fermani, sia pure transfugo da sempre, nei mesi invernali, a Macerata, il primo bagno al mare spetta a Porto San Giorgio, alla metà di giugno se possibile, ne varietur. Quest’anno le piogge mi hanno fatto scivolare penosamente a ridosso di luglio, ma meglio di niente. Però sono rimasto sconcertato: non dall’acqua – miracolosamente sana, a dispetto di quanto accade da Civitanova in su. Né dalla spiaggia – sempre pulita, sempre spaziosa e respirante (i carnai, grazie a Dio, non rientrano nella tipologia turistica di Porto San Giorgio). Ma dall’assalto al lungomare sì: una teoria inspiegabile e imbarazzante di bancarelle e punti ristoro, un serpentone micidiale e inopportuno, infastidente più che invogliante.
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“Che festa è?” – ho chiesto. “Sono le pro loco del fermano”, mi hanno risposto quelli degli chalet. Pare così che i magnifici borghi del fermano necessitino di questo tipo di promozione, per farsi conoscere: una grande fiera tipo patronale. Non dovrebbe poter essere così, temo si ottenga l’effetto contrario.
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L’entroterra è una fascinazione da assumere, non un caravanserraglio da subire. Gli incanti di Petritoli, gli scorci di Monte Giberto, le architetture di Moresco, le merlature di Ponzano, le alture di Montefalcone, Montefortino e Smerillo, i teatri, i campanili, i giardini segreti, le chiese ricche di arte… chi può intuire tutto questo da una bancarella, ancorché ben rifornita? Meglio allora punti simbolici da cui proiettare documentari sul Fermano, in maniera non invasiva. Capisco la necessità della promozione: ma il turismo dovrebbe essere un po’ come la poesia. Non la si può imporre (come a scuola, dove si finisce per odiarla). È talmente ricco e commovente, l’entroterra fermano, che ammassarne le varie specificità in questa maniera sembra più un dispetto che un incentivo. 

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Risalgo a Fermo. Dopo la rituale sosta al cimitero – uno dei più belli delle Marche (sto pensando di scrivere un libro sui cimiteri monumentali della nostra terra) – vedo spuntare l’abside di San Francesco, così protettiva per i fermani: quasi a dire “benvenuti a tutti, ma i miei figli stanno dentro le mura e io sono qui a preservarli da qualunque pericolo”. Fermacerata

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Anche a Fermo c’è un mercato estivo: è il mercatino dell’antiquariato e dell’artigianato. Onore una volta di più alle istituzioni fermane che, lungi dal saltellare di qua e di là in cerca di nuove identità, una volta “electa una via” hanno saputo confermarla e potenziarla, permettendole di assurgere a tradizione. Questo atteggiamento fa onore alle giunte che si sono avvicendate, che non hanno cercato di cancellare le orme precedenti per segnare la propria diversità, ma hanno saputo sposare le cause buone agevolandone la riuscita per il bene di tutti. O meglio, questa è la conclusione a cui si giunge di fronte alla tenuta nel tempo delle iniziative intraprese alla fine del secolo scorso. All’epoca – me ne ricordo bene, perché c’ero… – sembravano curiose innovazioni, al limite dello strampalato: ma poi fruttarono bene, e i fermani hanno saputo valorizzarne la portata: bravi!
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Fermo ha due perni estivi: il Mercatino del giovedì e il Palio (non me ne vorranno i lettori se mi permetto un auspicio di vittoria per la mia Campolege). Certo, negli anni il Mercatino ha subìto una sorta di “allaccamento”, di “ripiegatura”, rispetto alle prime edizioni: meno antiquariato (il cui mercato è peraltro fermo – non solo a Fermo – dalla crisi in poi). Ma insieme agli espositori storici e ai collezionisti in uscita pubblica – che sembrano non invecchiare mai (chissà che cura fanno…) – qualche buona chicca c’è sempre. E poi c’è il miracolo di Piazza del Popolo e di Corso Cefalonia, a dare il tocco finale alla manifestazione. C’è, vorrei dire, un “buon gusto” che è di natura e di cultura. Il quid nobilitante, che certamente va accompagnato; ma già di suo fa almeno il 50%.
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Quanto al Palio… ricordo ancora la distribuzione delle primissime bandiere delle contrade, da appendere ai balconi e alle finestre. Un attaccamento alla contrada indotto ai fini della riuscita dell’evento. Non saprei dire quanto i fermani tutti tengano realmente e, vorrei dire, carnalmente alla propria contrada: sta di fatto, tuttavia, che il Palio ha successo e da tempo non è più un optional (confesso di non aver mai assistito ad una corsa dei cavalli: l’idea di rimanere incastrato su per la Strada Nuova per un intero pomeriggio mi distrugge. Penso – ma forse sbaglio, per carità… – che ci stiano soprattutto i turisti e gli organizzatori. Però il cuore campoleggino mi esulta davvero, se le batterie vanno a buon fine per la mia contrada. Insieme ai miei amici fermani, aspetto i vincitori in piazza – dopo – per esultare con loro se sono i miei).
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In attesa di quelle formidabili scorribande gastronomiche, le mie incursioni fermane saranno a base di ricordi visivi e di voci perdute (un mio classico…), ma anche di letture: segnalo, a chi non lo conoscesse, un giovane poeta fermano che si chiama Jonata Sabbioni. Ha già pubblicato due libri, uno più interessante dell’altro. Sebbene appartato e professionalmente in tutt’altro settore (è ingegnere…), ha già una sua bella riconoscibilità nel panorama letterario nazionale giovanile, sia come poeta che come critico. Per non mancare di rispetto a Porto San Giorgio e al suo mare insuperabile, gli affianco la lettura di un altro caro amico e bravo poeta: Alessandro Catà, che vanta tra i suoi lettori più fervidi una voce tra le più importanti della poesia italiana, quella di Milo De Angelis.
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Ecco qua le mie prime serate estive. Buoni libri, qualche felice conversario con gli amici di una vita, e quell’aria imperdibile che sale dal mare, sbatte sul nostro colle e ha il sorriso delle cose migliori.

*Filippo Davoli, poeta nato a Fermo, vive e lavora a Macerata. 


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