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“Caro direttore, ti scrivo con la speranza che questa mia possa dare vita ad un confronto civile…”

L'INTERVENTO - La lettera a firma di Sandra Amurri, giornalista de Il Fatto Quotidiano: "Un attacco alla mia persona al mio essere giornalista, per aver riportato, senza alcun commento, una notizia documentata che non spetta a me ma all'autorità giudiziaria verificare"

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di Sandra Amurri*

Caro direttore,

ti scrivo con la speranza che questa mia possa dare vita ad un confronto civile utile alla città tutta, compresi coloro che abdicano alla ragione e al cuore nel ritenersi diversi da chi ha bisogno di noi e viene scacciato per il colore della sua pelle.
Da giorni, su Facebook, come tutti possono leggere, subisco da Giuseppe Buondonno, Massimo Rossi, Susy Cola, Patrizio Cardinali, e non solo una delegittimazione che definire vergognosa è un eufemismo, un attacco alla mia persona al mio essere giornalista, per aver riportato, senza alcun commento, una notizia documentata che non spetta a me ma all’autorità giudiziaria verificare. La notizia in questione, pubblicata dal mio giornale, il Fatto Quotidiano, non è frutto di voci di strada, ma, come tutti sanno, di un’informativa redatta da un dirigente della Polizia di Stato, membro della Commissione per i richiedenti asilo del Ministero dell’Interno, facente parte del fascicolo processuale a carico di Amedeo Mancini, accusato di omicidio preterintenzionale con l’aggravante razzista. Altri organi di stampa hanno ripreso la “mia”notizia aggiungendo considerazioni o titoli di cui,ovviamente non sono responsabile. Fin qui i fatti. Da qui è partito non un confronto dialettico, legittimo, che può anche essere aspro, ma una gara al tiro al piccione, o, come piacerebbe alla Boldrini, alla picciona.

Sono stata annoverata da Peppino Buondonno, tra “i cialtroni, pseudo giornalisti, la vostra coscienza non serve neanche a pulirsi le scarpe, perché le sporca” fino a toccare il fondo nel vergognoso tentativo di Massimo Rossi di delegittimare la mia credibilità di giornalista con parole che si commentano da sole:”Il fatto che l’avvocato difensore sia anche l’avvocato della giornalista è un’altra coincidenza. Lungi da me qualsiasi insinuazione..”Gli fa eco il dottor Patrizio Cardinali, candidato con Zacheo alle scorse amministrative:”Stessa giornalista, stessi avvocati. Macchina del fango ben architettata . Se sono cialtroni oggi lo erano anche ieri. A me, che sono coerente non sono mai piaciuti.Alla giornalista ho tolto l’amicizia due anni fa….” La sintesi è: Mancini, in quanto carnefice razzista, va rinchiuso e buttata via la chiave, chi se ne frega se viviamo in uno stato di diritto in cui “la difesa è un diritto inviolabile” come recita l’Art 24 della Costituzione. E di conseguenza, l’avvocato che difende Mancini, è razzista come la giornalista che scrive sotto sua dettatura. Metodo noto , come storia insegna: se non riesci a distruggere il ragionamento, demolisci il ragionatore. Io, secondo i paladini duri e puri dell’antirazzismo, acquisito con la nascita, ho osato distinguere la condanna categorica all’epiteto razzista rivolto da Mancini ad Emmanuel, dovere di ogni persona che si voglia definire tale, dalla dinamica dei fatti scaturiti da quell’espressione razzista che hanno portato alla morte del nigeriano. Mentre loro, da subito, si sono sostituiti alle autorità giudiziarie, abbracciando, incondizionatamente ,come verità assoluta, la versione dei fatti, messa a verbale dalla vedova, rilanciata con forza da Don Vinicio, a cui rimprovero di aver fatto tacere la pietà cristiana per un povero cristo (che, come lui può insegnarmi, non vuol dire assolvere dal giudizio terreno) fino a delineare un legame con le bombe esplose davanti ad alcune chiese, cosa rivelatasi falsa, come io ho scritto. Annunciando, parole di Angelo Ferracuti, il festival degli scrittori contro il razzismo, in quanto Mancini è l’anello di una lunga catena che tiene prigioniera la città. E chiunque provasse a ragionare con la propria testa, anche grazie ai fatti che, man mano emergevano, e senza mai, ripeto, negare o sottovalutare, la componente razzista di quel comportamento e la necessità in questi tempi bui della modernità e della volgarità di coltivare il seme della tolleranza e dell’accoglienza, veniva linciato.

Scrivere che Mancini è una persona che ha pronunciato una frase razzista che mai avrebbe dovuto neppure pensare ma che non è a capo di alcun movimento razzista che pervade la città, ma piuttosto una persona ai margini, senza lavoro, che va aiutata, vuol dire alimentare quella “zona grigia” brodo di cultura del razzismo. Se solo smettessero di stravolgere la realtà per tenere in piedi quel castello di sabbia che hanno costruito che si alimenta della protervia del “io so, io sono e voi non….”della prevaricazione, della violenza verbale,comprenderebbero che il razzismo si combatte con la cultura che non vuol dire possedere una laurea, bensì sensibilità, umanità, capacità critica, di contaminazione attraverso il confronto democratico che aggrega e non esclude. Perchè abbiamo bisogno di includere per costruire una società più equa e più giusta che impari a vivere l’altro da sé non come un nemico. Quel confronto che Gabriel Marquez, riferendosi al suo rapporto a volte conflittuale con Fidel Castro, mi spiegò così:”la magia del confronto è quando il confronto si fa aspro e senti nascere un’altra affinità”. Resto convinta di una cosa: l’umanità non fa le rivoluzioni ma verrà un giorno in cui le rivoluzioni avranno bisogno dell’umanità. E a Buondonno, peccando di umiltà, dico: la mia coscienza è limpida, è un peccato pulirtici le scarpe, magari usala per specchiartici, forse, ci troverai quella serenità di giudizio e di rispetto per chi non la pensa come te, che ti manca. Mentre a Rossi, dico ciò che dovrebbe sapere, e questo è un aggravante, stai tranquillo, non ho venduto la mia dignità e la mia penna per molto, molto di più. Mentre a Cardinali ricordo che a un medico non viene chiesto solo di curare ma anche di fare prevenzione e la violenza verbale genera patologie serie. Nel frattempo cerchiamo di rifiutare, quotidianamente, ogni forma di violenza, partendo da quella delle parole, da chiunque provenga, rossi, neri, verdi, gialli se davvero crediamo che non sia l’appartenenza di genere o il colore della pelle a darci il patentino di essere umani. Senza dimenticare che è più facile lottare per i principi che vivere alla loro altezza. Confido nel tempo, uno dei pochi galantuomini ancora in circolazione. Un tempo, che, mi sbaglierò, prevedo breve.

*Sandra Amurri, inviata de Il Fatto Quotidiano


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