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Oggi, come ieri, disabili e giovani
i veri protagonisti: don Franco
e quella notte di Natale del 1966

di Andrea Braconi

I momenti straordinari meritano di essere raccontati. E tutte le notti, anch’esse straordinarie, che questo territorio è stato capace di vivere. Come quella del Natale del 1966, durante la quale Don Franco Monterubbianesi diede forma e sostanza ad un sogno, che prese il nome di Comunità di Capodarco.

Don Franco, che notte fu quella?

“Fu una notte straordinaria. Il 21 dicembre al mattino venivamo da Roma con un pulmino scassato che mi avevano regalato. C’era da metterlo a posto ma non lo feci e la Polizia lungo il viaggio ci fermò e ci disse: ‘almeno per la vostra incolumità mettete le luci!’. Neanche quelle c’erano!. Portavo i ragazzi che uscivano dagli istituti, tipo il Cotolengo, da cui ci dissero: ‘se fallite questi ragazzi non possono più tornare’. Sì, è stata una grande sfida la nostra.

Stava nascendo qualcosa di speciale, di unico.

“Dal 21 al 24 dicembre praticamente è stato tutto un affanno per i primi che venivano dalle varie parti d’Italia. Eravamo 13 avventurosi all’inizio, in una realtà come Casa Papa Giovanni dove non funzionavano perfettamente i riscaldamenti, dove ognuno che arrivava trovava un letto da mettere su all’improvviso e così via. C’era tanta provvisorietà, a novembre ci fu data come disponibilità e dovemmo preparare l’accoglienza il più presto possibile con i miei ragazzi dell’Industriale. La sera della vigilia telefonai a diversi amici che sapevano, il giornale aveva scritto di questo avvenimento ‘un amore che sa di miracolo’, parlando della casa che si sarebbe aperta. Ma non pensavo a tutto quell’afflusso. Fu una cosa straordinaria tutta quella gente che venne a vedere come questo mio sogno si stava concretizzando. Trovammo un altare di legno dalla suore di Porto San Giorgio, che me lo prestarono ma che poi rimase in mezzo a noi; lo mettemmo nella sala da pranzo, all’angolo, dove celebravamo la messa in quei giorni. Tutto fu improvvisato, ma grande era la gioia dei ragazzi che videro tanti amici e che si aprirono anche da quella tensione che avevano, tensione che si sciolse in quel meraviglioso incontro. Ho ancora delle foto di quei tempi, che testimoniano la gioia tra persone che si conoscevano per la prima volta.”

Hai parlato di un sogno. Come si alimentò?

“È stato il viaggio che avevamo fatto a Lourdes e in un appello che facemmo ai barellieri e alle dame c’era la motivazione profonda e sociale del valore che questi disabili potevano dare alla società. Volevo diffondere un messaggio della resurrezione del Signore e cioè che dai mali che loro portano potevano far bene alla società dell’epoca. Potevamo e volevamo trasformare la loro vita dal limite in gioia, in espressività e in creatività. Subito dopo quel Natale, appunto, cominciarono a lavorare e per loro era la prima volta. Poi abbiamo pensato di approfondire e di studiare, di formarci, ci sono state le esperienze dei laboratori e il sogno di andare a Roma. Una creatività che in quel Natale era implicita, era lo sforzo di dimostrare come loro potevano contare nella società attraverso un grande processo di integrazione. Perché noi abbiamo sempre puntato all’integrazione e mai all’assistenzialismo.”

Saltiamo i cinquant’anni di storia della Comunità di Capodarco – che rimangono di una straordinaria intensità e capacità di coinvolgimento – e saltiamo al giugno 2016, all’approvazione della cosiddetta legge del “Dopo di noi” (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, ndr)

“Una legge che abbiamo preconizzato dalla fine degli anni ’90, quando Livia Turco lanciò in Italia in una grande assemblea nazionale sull’handicap proprio il discorso del ‘Dopo di noi’. C’era anche Augusto Battaglia, il nostro presidente attuale di Roma, che portava già le linee di questa legge, la 112 appunto, in cui all’articolo 4 si parla di questo processo di crescita. Io ho parlato sempre del prima e del dopo.”

Ed è un tema che sarà al centro dell’incontro a Capodarco di martedì 27 e mercoledì 28 dicembre.

“È qui il programma che voglio portare avanti, venendo a parlare con gli amici del Fermano perché si coinvolgano in un comitato di lotta per l’attuazione della legge. E devono farlo insieme con i giovani. Oggi non c’è più solo la famiglia, ma una delle idee forti del convegno che avevamo fatto proprio a Capodarco a novembre era quella di tornare a parlare ai giovani. Come nel passato i giovani vennero a darci una mano per la disabilità e da lì sono nate tante cooperative, case famiglia ed altre realtà, al punto che ci siamo diffusi nel territorio italiano in 14 realtà, adesso su questa problematica della disabilità possiamo affrontare anche la situazione di chi è senza prospettive. Qui i giovani possono dare il meglio della loro sensibilità e si può risolvere anche il loro problema: la società di oggi ha bisogno di non emarginare nessuno, ma i primi emarginati sono proprio i giovani, senza futuro e spietatamente soli. Dobbiamo accogliere loro e accogliendo loro riaccogliamo i disabili. Dovremo creare gruppi appartamento, fattorie sociali, laboratori, cooperative sui fronti possibili dell’agricoltura e del turismo. Ecco, vorrei che le nostre Marche a partire dalla bellezza e dalle tradizioni facessero un gran lavoro di accoglienza della persona. È il turismo che io chiamo dei valori e non del consumo. E devono diventare proprio i giovani i veri protagonisti di questa nuova fase. Ripeto: prima erano i disabili che coinvolgevano i giovani, oggi invece devono essere i giovani a coinvolgere i disabili.”

Restiamo sul programma di questa due giorni.

“Il 27 e il 28 saranno due giorni destinati all’incontro, sempre a partire dalle ore 15. Faremo dei momenti di preghiera di ringraziamento per il passato e di riperimetrazione per il futuro, poi rimarremo insieme per riflettere su come vivere questo futuro. E gli amici del Fermano sono invitati a partecipare.”

Oggi, invece? Che sensazioni ti appresti a vivere pensando a stanotte, ad un Natale cinquant’anni dopo quel viaggio in pulmino?

“In questo momento sto leggendo il discorso che il Papa ha fatto e nel quale dice ai curiali ‘non vi mettete di traverso ma convertitevi’. Non penso di cambiarvi, dice, ma non dovete essere malevoli nei confronti della riforma. Ma io penso ci sia una riforma fondamentale e spero che in questo Natale – nella maniera in cui ho fatto le mie personali riflessioni sulle tre virtù sopranaturali (fede, speranza e carità) – io possa comunicare agli amici il valore di queste tre virtù, vissute in maniera ben diversa dal Cristianesimo puramente religioso che stiamo vivendo, fatto di riti e non di valori. Invece, il Cristianesimo deve puntare anche sulla riforma sociale e se non si mette a dare una mano a questa società sbagliata è un grande dramma. Spero di poter trasmettere uno spirito nuovo di Natale come fu il nostro all’inizio. Da offrire, ho soltanto la mia esperienza.”


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