di Andrea Braconi
È un lungo messaggio quello che Don Franco Monterubbianesi ci lascia in questo giovedì santo. Un messaggio che, come sacerdote, sente il bisogno di dover dare alla comunità fermana, in particolare rivolgendosi al sindaco Paolo Calcinaro e al vescovo monsignor Luigi Conti. Dentro, riga per riga, ci sono i cardini della sua vita: l’accoglienza e l’integrazione, dai disabili ai profughi.
“La città di Fermo e tutto il territorio provinciale – spiega a Cronachefermane.it – devono farsi carico di questa grande responsabilità, devo essere capaci di lanciare un segnale forte su queste tematiche. E io sono convinto che viste le positive esperienze di Montepacini (dove a giugno terremo la festa del Forum Nazionale Agricoltura Sociale), dello Sprar (con la formula dell’accoglienza in famiglia che sta crescendo e sta diventando un esempio a livello nazionale) e il rilancio possibile del progetto di Palazzo Monti di Servigliano (con i giovani del mondo come protagonisti e sul quale vi darò a breve ulteriori riferimenti), insieme saremo in grado di dare risposte concrete”.
LA LETTERA
“Per i disabili, nel loro presente dopo la scuola e soprattutto per il loro futuro con il “dopo di noi” che sarà drammatico per un welfare sociale inesistente in Italia, per i profughi, oggi rifiutati dall’Europa per egoismo, occorre avviare con l’aiuto della Chiesa un processo di inclusione e di integrazione umana. I poteri oggi sono totalmente responsabili dell’ingiustizia sociale perpetrata nei loro confronti.
La ribellione a ciò è quello che ci deve muovere anzitutto nell’indignazione e nell’azione di cambiamento possibile che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni perché si coinvolgano. Coinvolte con noi adulti in questo processo anche per ravvivare in loro la speranza che rischia di morire (i giovani NEET sono milioni, e il 20% dei giovani sono depressi). Un grande processo educativo per ciò e di coinvolgimento attivo si impone.
La speranza dei giovani va ravvivata nella forza di resistenza e di riscatto dei poveri del mondo che lottano. I poveri subiscono l’ingiustizia, ma lottano anche contro di essa, e nella forza della Resurrezione del Cristo, diciamo noi di Capodarco, trasformano le cose, affermano i loro diritti di vita, anche se con grandi sofferenze.
Papa Francesco ha additato ai poveri il cammino delle tre T (Techo, Trabajo e Tierra) per realizzare il cambiamento del sistema imperante.
Dobbiamo però farci suo popolo, aggregandoci, facendo reti di movimenti, di cittadinanza attiva e solidale, di democrazia effettiva, su sua ispirazione, sfidando, come ci ha detto in una grande assemblea il 5 Novembre 2016 il sistema negativo.
La sfida che noi raccogliamo deve essere, per ricostruire un welfare comunitario, dove due problemi vengano affrontati: quello dei disabili da rendere autonomi in vista del “dopo di noi” nel lavoro e nella vita, e quello dei profughi, da integrare dalla spietatezza del rifiuto che subiscono.
Tutte le forze vive del territorio per le tante realtà che stanno emergendo di cittadinanza attiva vanno coinvolte.
Sul Techo, nella diffusione delle case famiglia, delle fattorie sociali, in vista dell’autonomia, per quando i disabili saranno privi del sostegno della famiglia, è la prima prospettiva per i disabili. L’autonomia di vita e di lavoro si dovrà creare con le forze giovanili che si coinvolgono a partire dalla scuola, con l’alternanza scuola-lavoro nelle realtà di territorio che si coinvolgono ad accogliere. E a tale processo possono, opportunamente formati e preparati, partecipare, oltre ai giovani, anche i profughi. Questo se nei loro confronti si esce dal pregiudizio, li si accoglie veramente condividendo la loro storia, prima nell’accoglienza nella famiglia, secondo una progettualità che sta nascendo in Italia in alcune città. Una prima accoglienza per progettare poi insieme la comune aspirazione a cambiare il sistema globale da cui è derivata anche la loro sofferenza. Poveri che sono stati impoveriti dal sistema imperante, causa di tante ingiustizie nel mondo. E’ fare verità della storia vissuta.
Il Trabacho poi, il lavoro, e la dignità di vita che esso dà deve essere dato ad ogni uomo nella piena occupazione. Anzitutto oggi ai giovani, che sono i più emarginati nell’economia sociale da far trionfare sull’economia del profitto. E’ una realtà da creare mettendosi insieme nel lavoro libero, creativo, partecipato, solidale, facendo sì che l’economia “impatti” la povertà per creare vero sviluppo, con le risorse messe a disposizione. E’ un’impresa difficile, ma non impossibile, su cui anche il dicastero della Chiesa per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale può aiutarci a svilupparla, come una cultura nuova, da far crescere poco a poco nelle coscienze.
Dopo Pasqua ci incontreremo per progettare insieme con tante realtà che si stanno coinvolgendo proprio per essere popolo accomunato dallo stesso empito, seppure in tante diversità di apporti, con questo Dicastero, sul modello del poliedro, che anche qui il Papa ci ispira.
Da cui il terzo monito della Tierra, che è altrettanto importante. La Terra che l’uomo deve curare e soprattutto rispettare, per quanto la abbiamo devastata, ma anche la terra che cura l’uomo. Se se ne capisce il valore, per renderci più umili rispetto al nostro orgoglio del fare.
Su questo fronte della terra vale molto la risorsa del “ritorno alla terra” dei giovani, l’idealità che è nata dell’agricoltura sociale. Con le fattorie sociali e il turismo dei valori che lì si può vivere nell’accoglienza della terra, delle persone in gravi difficoltà, è la rivoluzione culturale da fare nei vari territori, valorizzando le terre incolte, le terre pubbliche, e quelle appartenenti alla Chiesa.
Anche su questo ambito i profughi, opportunamente motivati e coinvolti, possono essere preziosi perché vengono per lo più da una cultura più comunitaria rispetto a noi occidentali, che siamo stati travolti nell’individualismo, perdendo molto i nostri lavori tradizionali e culturali del passato.
Tutto questo progetto va avviato per ora dalle Marche, dove l’idealità è già presente in alcuni protagonisti già attivi, al Lazio, dove il coinvolgimento della Chiesa, dai Castelli Romani a Roma, può essere effettivo, perché manifestato dai Vescovi sia dei Castelli Romani, che dei quattro ausiliari di Roma.
Nelle pastorali nuove delle famiglie e dei giovani, e qui con il progetto Policoro da concretizzare verso il sociale, nelle realtà promozionali di vita e di lavoro che si potranno creare partendo da ciò che esiste nel territorio, partendo dalle realtà di Capodarco sparse in Roma, questo sviluppo umano integrale dei disabili e le loro famiglie e dei profughi, coinvolti attentamente, si potrà creare senz’altro.
Come popolo che cammina in un processo di liberazione che non può non esserci, giunti come siamo ad un totale smarrimento di umanità, per cui tutti abbiamo bisogno di sognare ciò, e sognare insieme è l’inizio della realtà. Chiediamo solo di essere ascoltati urgentemente per avviare il progetto, anche in aiuto alle nostre emergenze, che si sono purtroppo create nella storia del nostro coinvolgimento con i poveri. Dall’avvio del progetto poi ci sarà il cammino da precisare con il Dicastero dopo Pasqua, per tutte le collaborazioni possibili che possono essere vissute a livello nazionale, numerose e da reperire sul territorio.
Il progetto avrà la centralità del Movimento di Capodarco. Dovranno esserci due gruppi di giovani per aiutare a gestire le due realtà delle Marche e del Lazio, sostenuti nel loro coinvolgimento di tempo pieno con cui lavoreranno con noi.
Chiedo, nella preghiera pressante al Signore, di essere ascoltato il più presto possibile da Papa Francesco, perché sia lui a dare l’avvio a tutto questo progetto, dove i poveri con noi potranno fare un cammino di liberazione”.
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