Rita e Domenico sono due volti (e due voci) di un territorio che non vuole arrendersi. Un po’ perché “montanari”, un po’ perché vogliono lasciare qualcosa di importante e di vero a figlie e nipoti.
Lei, 74 anni, da 53 gestisce un bar tabacchi in Piazza del Ponte a Castelsantangelo sul Nera, oggi distrutto. Una sorta di istituzione, non solo per questo piccolo borgo che da sempre rappresenta uno dei gioielli dell’Alto Nera. Rita, dopo le scosse di ottobre, vive nella sua abitazione a Porto Recanati ma si considera a tutti gli effetti una sfollata. E ha un solo desiderio: riaprire il suo locale, in un container. “Tutti mi cercano e tutti mi vogliono, io voglio ripartire” spiega. E invita tutta la redazione di Cronachefermane.it (“Grazie perché da Fermo continuate a parlare di noi!”) per il giorno in cui quelle porte torneranno ad aprirsi. Per bere con lei un caffè “come non l’avete provato mai”.
Domenico, invece, si sforza di far ripartire il suo ristorante, L’Erborista, un punto di riferimento nella frazione di Gualdo, lungo la strada che conduce a Castelluccio. Cinquantaquattro anni, due figlie che lo affiancano nel lavoro, è stato anche amministratore del suo Comune, ricoprendo per un breve periodo anche la carica di sindaco. Un ruolo delicato ma fondamentale, soprattutto di fronte ad una tragedia come quella legata al terremoto. “I nostri sindaci devono essere compresi, loro conoscono bene la zona ma hanno poco potere, devono essere più ascoltati” rimarca.
Per tre mesi Domenico ha vissuto da sfollato alla Risacca di Porto Sant’Elpidio. Poi quel punto di non ritorno, il sentirsi fuori contesto, la scelta di vivere con le sue figlie a Spoleto e tentare un piccolo miracolo: riaprire quella cucina, ricominciare a servire a tavola, chiacchierando con i suoi clienti. Un primo tentativo lo ha fatto in occasione della festa del Primo Maggio: una due giorni, sabato e domenica, con un menù all’insegna delle tipicità del posto, a partire da quella lenticchia che per decenni da queste parti hanno raccolto su quella piana oggi irraggiungibile.
“Facciamola ripartire questa montagna – aggiunge – altrimenti è un casino. Dobbiamo essere aiutati, ma qui la burocrazia fa più danni del terremoto. Serve l’aiuto delle istituzioni per superare questo momento difficile, altrimenti i giovani non ritornano. Ed è inutile rifare le casette se non riparte l’economia. Per chi le rifacciamo? Gli abbiamo dato 8 mesi, capisco che questo terremoto ha coinvolto 4 regioni, ma ormai basta. Non riusciamo a ripartire neanche con le strade, eppure qui per Castelluccio c’è la strada più corta e la meno danneggiata. Le attività nei tre mesi estivi lavorano per tutto l’anno, cosa dobbiamo fare? Continuiamo a prenderli in giro con i famosi 5.000 euro?”.
La videocamera si spegne, ma Domenico, invitando tutti a sorseggiare il suo Amaro del Mago (una tradizione di famiglia, legata al suo dinamico nonno) non smette di raccontare, di progettare, di immaginare il suo futuro e quello della sua famiglia. E soprattutto non smette di invitare tutti a non abbandonare questa porzione di Marche, a continuare a lottare. Per evitare quel “casino” che metterebbe la parola fine alla magia di questi luoghi.
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