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Giorgio Cisbani ricorda Ivan Cicconi: “Impegno costante nella lotta alla corruzione ed al malaffare politico”

IL RICORDO - "Ivan, già ingegnere, mi chiese di raggiungere Bologna e una notte dormimmo a terra presso la sua sezione, quella di via Mazzini. Non eravamo armati, ma molto determinati"

 

di Giorgio Cisbani

L’ iniziativa su Ivan Cicconi, organizzata dall’amministrazione comunale  (leggi l’articolo), mi sollecita alcuni nuovi ricordi del fraterno amico di una vita. 

1964 o ’65: Sulla speculazione edilizia – tema allora al centro della battaglia politica locale – Ivan ( con la mia consulenza ed avallo…di consigliere comunale ) realizzò quattro manifesti: carta lucida ed inchiostro a china, che affiggemmo nella bacheca di Piazza del Popolo. Le ‘ vignette ‘ ed i testi erano radicali, ma non si discostavano dalla linea di partito, il mezzo usato era però così innovativo e forte da far clamore. Tant’é che arrivarono delle proteste in federazione, insolite, da parte democristiana. Ci fu qualche piccola conseguenza politica…in casa nostra. Sembrava che fossimo andati in guerra usando armi impropri! Qualche testa era anchilosata, anche in quel gran partito.

I giornali murali delle logge di Piazza del Popolo,  erano strumenti di comunicazione che tutti i partiti utilizzavano, più o meno intensamente. Il nostro credo non avesse concorrenti, se non – in anni successivi – in quello, esilarante e fantasioso di Abramo Mori, che di uno, scarsamente utilizzato, si “era appropriato” per condurre al meglio la sua conosciuta battaglia per l’istituzione della Provincia.

1977: A Bologna, su ispirazione di quelli che si chiamavano i “ nuovi filosofi francesi “, gli studenti dei collettivi ( extra-parlamentari ) e la radio di Bifo, organizzarono un convegno internazionale, con il sostanziale obiettivo di far scoppiare delle contraddizioni nel Pci, nell’area di sua massima forza, cioè in un punto nevralgico dell’influenza comunista nel mondo occidentale. Le giornate si annunciavano intense e forti. Il Pci rispose – accogliendo, come sapeva fare e non successe nulla di eclatante. C’erano state, però nel partito non poche legittime preoccupazioni, una tra queste: come organizzare il presidio delle sedi.  Ivan, già ingegnere, mi chiese di raggiungere Bologna e una notte dormimmo a terra presso la sua sezione, quella di via Mazzini. Non eravamo armati, ma molto determinati.

2011 o ’12: A Bologna arriva Jorge Giordani, più volte ministro dell’economia con Chavez. Ivan, sapendo che lo avevo conosciuto in Venezuela, mi telefonò. Dopo la conferenza, Giordani non poté trattenersi a pranzo con noi, ma parlammo per diversi minuti.

Oltre alle considerazioni sul ruolo perverso della stampa Usa e internazionale, nella già tumultuosa situazione venezuelana, Ivan fu incuriosito dalla storia e divertito da un episodio, da me già conosciuti, raccontati da Giordani: nato in sud-america, figlio di una pianista spagnola e di un italiano di Imola che aveva partecipato alla guerra di Spagna, all’inizio degli anni ’60, si era iscritto, a Bologna, alla facoltà di ingegneria. Quando, al secondo esame, il professore constatato che il suo italiano é particolarmente scadente, vuole sapere come sia stato possibile che al primo esame ( evidentemente particolarmente tecnico ) egli avesse avuto 30. Poi Giordani si diffuse su la Bologna di quegli anni: la facoltà, gli studi compiuti, l’esperienza nel Pci.

Non ne abbiamo mai parlato e non so, quindi, se Ivan avesse intuito che c’era un qualcosa che li accomunava: lui arriva a Bologna da una regione periferica, Giordani da Caracas; entrambi – in anni diversi – diventano ingegneri nella stessa sede universitaria; entrambi frequentano il Pci; Giordani a Caracas, capitale di un Paese dove la corruzione era ( ed é ) una grandissima piaga, per il comportamento rigoroso e competenza, veniva chiamato “ il monaco”; Ivan era e resta tra i più importanti, competenti e coraggiosi intellettuali, che generosamente e coraggiosamente si é costantemente impegnato nella lotta alla corruzione ed al malaffare politico.

A proposito dei “quadri murali “, di cui oggi si avrà difficoltà a comprenderne l’importanza che ieri aveva a Fermo, come strumento della lotta politica ma, anche, mezzo di comunicazione di vicende para-politiche. Il Movimento Sociale aveva il quadro murale in fondo alla Piazza, ove ora c’é il giornalaio. Un giorno, Poliuto ( personaggio di allora ), con fare teatrale, spacca il vetro e straccia il foglio, perché qualcuno dei perditempo della Piazza, con l’intento di suscitare una colorita reazione, lo aveva avvertito ( non sapeva leggere, né scrivere ), che i ‘ fascisti ‘ lo insultavano chiamandolo “ gramigna “, erba cattiva. La sceneggiata che si pensava di suscitare non finì lì perché, dopo l’evento del quadro murale spaccato, Poliuto – tra l’irritato e il trionfante – andava ripetendo per la Piazza: “ Cramigna a me !? “, ecc. ecc..
La sceneggiata, ad uso e consumo degli scanzonati perditempo, cresceva poi d’intensità, quando Poliuto s’incontrava con l’autore del manifesto, l’amico Giovà De Minicis, dirigente del Mai, che solidarizzando con lui, in effetti si compiaceva di quei fantasmagorici commenti che, per qualche giorno, inondarono la Piazza, specialmente nelle ore notturne, quando il ’ teatro di strada ‘ si arricchiva delle performance di Pilluccu e, in seguito, di quelle del barone Renato, che prevalentemente declamava dalle loggette di S.Rocco.

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