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Quarant’anni di CVM con l’Africa nel cuore: “La nuova sfida è in Italia” VIDEO INTERVISTA

PORTO SAN GIORGIO - Paolo Padovani e Marian Lambert:"I nostri ragazzi vanno giù e tornano con nuovi insegnamenti. Queste persone che arrivano dal sud del mondo sono un valore, non lo vediamo come tale, ma lo sono".

 

di Paolo Paoletti

“Non gli portiamo il pesce ma insegniamo loro a costruire una rete per pescare”. E’ questo, in estrema sintesi, lo spirito che ha caratterizzato l’impegno in Africa della Comunità Volontari per il Mondo. Questa mattina il presidente della CVM Paolo Padovani e la direttrice Marian Lambert, hanno ripercorso quarant’anni con l’Africa del cuore. Una ricorrenza che vede la CVM impegnata in una nuova importante sfida culturale  ancora più difficile delle precedenti e che riguarda un paese dove le potenzialità delle persone vengono considerate come minaccia culturale: l’Italia.

ACQUA E AGRICOLTURA: LA FAME SI VINCE IN FAMIGLIA

Paolo Padovani

Dal 1978 ad oggi la missione dell’ONG marchigiana, con sede a Porto San Giorgio, rimane la stessa:”Lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”. Spiega il presidente Padovani:”Quarant’anni di CVM significa che le radici sono profonde. Tutto è nato da tante coscienze libere del mondo cristiano cattolico che aveva un’attenzione particolare al periodo storico dell’indipendenza dei paesi africani. Sono nati così i primi esperimenti di volontariato civile in alternativa all’obbligo di leva militare.  I primi che sono partiti per l’Africa e hanno dato origine ad associazioni che si sono sviluppate fino alla concezione moderna che ne abbiamo.  Gli ideali sono quelli che ci tiriamo dietro da una vita: essere attenti e solidali con quello che succede  nei paesi poveri”.

Un impegno sul campo che vede come sfondo la difficile storia dell’Africa prima delle divisioni e dopo. “In questo panorama rivoluzionare molte di queste coscienze fatte da volontari – spiega Padovani  – si sono dedicate al filone della cooperazione internazionale. Un tema che oggi è ancora vivo e vegeto”.

Da qui l’impegno che molti conoscono: dai pozzi d’acqua, alle campagne di sanificazione, la lotta all’AIDS, passando per il micro credito fino ad un impegno concreto per il cambiamento per ridare speranza, giustizia e dignità alle popolazioni al Sud del mondo in particolare Etiopia e Tanzania.

“Un campo classico di applicazione delle nostre energie è quello dell’acqua – spiega Padovani –  su 7 miliardi di persone al mondo 1 miliardo e mezzo non ha accesso diretto all’acqua. Quando parlo di accesso diretto significa una fonte di acqua chiara, senza terra, in un raggio di 150 metri dalla propria capanna. Il concetto di acqua pulita è altro ancora, 20 anni fa era già tanto che fosse chiara, a prescindere dai caratteri organolettici, oggi si sta aggiungendo il criterio di un’analisi che possa portare ad una salubrità di ciò che si beve. Il nostro lavoro consiste nell’entrare in un villaggio per lo scavo dei pozzi, portando anche il concetto di buon uso dell’acqua: lavaggio, bagno dei bambini, pulizia. I risultati sono arrivato e stanno meglio sia gli uomini per quanto riguarda le malattie, gli animali e le piante. Ci sono poi i progetti relativi all’agricoltura. Inviamo volontari agronomi che aiutano a realizzare,  curare e conservare un orto. La fame si vince in famiglia. Lavoriamo in piccole comunità. Non costruiamo un acquedotto per migliaia di persone ma piccoli pozzi per i villaggi. In quarant’anni abbiamo portato acqua a 300 mila persone, una media di dieci nuovi pozzi l’anno oltre alla sanificazione delle sorgenti spontanee dove spesso si recano sia animali che uomini senza distinzione. Li abbiamo creato delle fontanelle”. C’è anche l’impegno nella lotta allo sfruttamento dei bambini ridotti a servitù.

IL SIGNIFICATO DI ESSERE VOLONTARI CVM

132 persone in quarant’anni: questo il numero dei volontari che hanno dato il proprio contributo alla causa della Comunità Volontari per il Mondo. “La professionalità il uno dei nostri valori fondamentali – ha sottolineato Marian Lambert – rispetto agli anni Ottanta o Novanta i volontari di oggi partiamo con la consapevolezza di trovare personale già formato. Per questo i nuovi volontari dovranno rappresentare un valore aggiunto a quello che oggi è stato già costruito. Parliamo di valori come la solidarietà, l’impegno per la giustizia, portare speranza, cambiamento, condivisione. Altra parola importante per CVM è lo sviluppo: di tutta la persona. Non siamo per le persone povere ma con le persone povere. Entriamo nei problemi, aiutiamo a promuovere uno sviluppo e un cambiamento”.

Uno degli esempi concreti riguarda le differenze tra etnie che possono verificarsi dei villaggi: “Abbiamo messo in piedi asili frequentati da bambini di entrambe le etnie, portiamo avanti corsi di alfabetizzazione, facciamo lavorare insieme uomini e donne di entrambe le realtà, forniamo assistenza a chi ha sofferto per le discriminazioni. A novembre in uno di questi villaggi mi hanno detto: ‘Voi in pocotempo avete aperto la strada per ‘integrazione'”.

L’IMPEGNO CONTRO l’AIDS E L’HIV 

“In passato – spiega Marian –  sopratutto negli anni Ottanta e Novanta il problema era che non c’erano medicine per l’AIDS. Con il passare degli anni abbiamo portato i farmaci per curare le infezioni e queste persone sono migliorate. La nuova sfida è stata dare una dignità, un supporto economico e fare uscire dalla discriminazione le persone affette da AIDS. Da qui abbiamo istituto un fondo di formazione di business, dato loro una somma per mettere in piedi una piccola attività a condizione di farci restituire poi quei soldi in modo da poterli donare ad altre persone che ne hanno bisogno. Queste persone ce l’hanno fatta e ci hanno ringraziato ‘Voi ci aiutate ad avere una nostra dignità, ora siamo come tutte le persone della comunità. Lavoriamo e abbiamo i soldi per mandare i  figli a scuola. Ora non siamo più diversi”.

A sorprendere è come piccoli gesti possano portare una rivoluzione: ” Abbiamo iniziato a creare associazioni di persone con l’AIDS ed oggi siamo arrivati ad oltre cento realtà che si aiutano per realizzare i loro diritti. Siamo ‘facilitatori’, lavoriamo nell’ombra per lasciare gli altri camminare da soli con dignità”.

Padovani che ha aggiunto: “Non si può lasciare tutto allo spontaneismo. Non gli portiamo il pesce ma gli insegniamo a costruire una rete per pescare. Quando abbiamo lavorato sulla prevenzione dell’Aids non era la piccola macchia d’olio attorno all’ospedale dove lavoravano i medici bianchi, ma un progetto di 14 anni che ha raggiunto 11 milione di persone, coinvolgendo tutte le autorità con la tecnica Training Of Trainers ovvero la formazione di coloro che a loro volta diventavano formatori. Da medico ho seguito in Italia la campagna per l’HIV, quella degli omini viola, è stato sparato un argomento su una popolazione che non era preparata. Dall’altra invece la gente è stata avvertita, formata in tutti gli strati della società”.

 

DALL’AFRICA ALL’ITALIA: UNA SFIDA CULTURALE  CHE PARTE DAL SUD DEL MONDO

Il futuro del’CVM sarà anche all’interno delle scuole e delle università con progetti formativi. La vera grande sfida però è un’altra. Ad oggi infatti sono stati molti i volontari che, di ritorno dall’Africa, hanno scelto di proseguire nella strada della cooperazione portando in Italia quelli che sono stati gli insegnamenti ricevuti da queste popolazioni.

“La nostra grande sfida  – conclude la direttrice –  è quella di portare in Italia lo sviluppo di una coscienza della società civile per prendere atto di cosa sta succedendo intorno a noi. Gli studenti di oggi vivono in un mondo globale.  Dopo 40 anni,  la sfida in Italia, riguarda l’educazione a riconoscere le potenzialità delle persone, uomini e donne che vivono negli altri contenti. I nostri ragazzi volontari vanno a giù e tornano con nuovi insegnamenti. Queste persone che arrivano dal sud del mondo sono un valore, non lo vediamo come tale, ma lo sono.  Vogliamo insegnare l’apertura al mondo. Il fenomeno dell’ immigrazione non è iniziato ieri, è parte del nostro mondo e continuerà. In Italia lo abbiamo fatto, in Irlanda pure, siamo emigrati. Oggi  siamo invece così chiusi con le persone che arrivano. Queste sono le nuove sfide”.

 


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