Ricostruzione, l’allarme degli architetti:
“Il tempo è una variabile importante,
altrimenti la vita si sposta altrove”

FERMO - Molto partecipato l'incontro sui centri storici, organizzato a Riabita dall'Ordine in collaborazione con quello degli Ingegneri della provincia di Fermo. Presenti Giovanni Marucci, Manuel Orazi e Fabrizio Toppetti

di Andrea Braconi

Un tema complesso, quello dello spopolamento (che arriva a sfiorare una sorta di “desertificazione”) dei centri storici. A rilanciarlo in occasione di Riabita è stato l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori e quello degli Ingegneri della provincia di Fermo.

Al centro del dibattito il progetto, inteso come strumento e sintesi tra tutte le opportunità e le criticità. “La parola progetto è scomparsa dal dibattito politico, ma in un contesto storico segnato soprattutto dalla fase post terremoto, siamo di fronte ad un’occasione storica ed è necessario ridare ancora più valore a questo termine” hanno rimarcato gli architetti, aggiungendo come “l’enorme valore culturale e la poetica inesauribile dei centri storici minori verranno riscattati solo da progetti capaci di associare nuove qualità al loro incanto”.

Il primo ad intervenire è stato Giovanni Marucci, architetto e direttore del Seminario di Architettura e Cultura Urbana di Camerino, che ha focalizzato la propria attenzione sulla situazione della città colpita dal sisma. “La Regione Marche si è dimenticata della città storica di Camerino – ha esordito – non per quello che riguarda le soluzioni temporanee. La mia è una denuncia della situazione di una città chiusa da due anni e presidiata dai militari. E per favore, aboliamo la parola cratere. Eppure, Camerino è una città in piedi, anche se alcuni edifici sono gravemente lesionati internamente. Ma le vie sono deserte, una delle cose che sgomenta. Intanto, la vegetazione selvatica si impadronisce dei cortili. Tutto è fermo e immobile”.

Per questo lo stesso architetto ha promosso una petizione, da consegnare al presidente della Repubblica, per intervenire su alcuni edifici pubblici attrattori di interesse per calamitare presenze in città. “Le vie principali sono praticamente tutte in sicurezza, non si sono più alibi. Accumoli è distrutta, Camerino no. Ma c’è una profonda negligenza e trascuratezza degli organi preposti alla ricostruzione, perché hanno dimenticato una città come Camerino che ha fatto la storia della regione Marche e non solo”.

Marcucci ha individuato quattro edifici prioritari: il Teatro Filippo Marchetti, il Palazzo Ducale, la Casa della Musica ed il Polo Museale. “Ma il tempo è elemento determinante. Occorre inoltre trovare continuità con il passato, ma anche discontinuità dove necessario”.

Manuel Orazi, fondatore della casa editrice Quodlibet e docente presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, ha offerto ai presenti nella Sala Trecento del Fermo Forum un excursus sulla visione urbanistica e culturale dei centri storici. “Negli anni ’60 comincia a vedersi in maniera molto visibile il fenomeno delle periferie, una nuova entità. Inizia la tendenza a portare fuori le attività delle città (produzione, terziario, etc) che ha condotto allo svuotamento dei centri storici. Bologna è la città che più ha riflettuto su questo, con il piano del centro storico di Cervellati che ha fatto scuola e ha messo attenzione sui centri storici che erano svuotati, come emerge anche dalle foto di Paolo Monti. Si comincia così a studiare come rianimarli. C’è la positiva esperienza negli anni ’80 a Roma della Giunta Argan che aveva costituito un ufficio per il centro storico, da pochi anni smantellato completamente. Ma poi negli anni ’90 è cambiato il mondo, ha inizio del fenomeno dei centri commerciali. Ricordiamo il caso Atlanta, negli Stati Uniti, una città senza centro ma con tante centralità”.

E oggi, con ancora più determinazione, periferia e centro sono concetti che vanno assolutamente riformulati. “Serve una pianificazione, ferma però ad una legge urbanistica del luglio 1942, legge che con prevede la temporaneità. Quindi, la riforma della legge urbanistica è una priorità. In questo tempo il mondo nel nostro settore è cambiato almeno 3 volte. E come agisci se i Comuni piccoli non hanno un piano regolare e se non hai le Province che li aiutano a fare?”.

A rafforzare i concetti già espressi l’intervento di Fabrizio Toppetti, professore di Composizione Architettonica e Urbana presso l’Università “Sapienza” di Roma. “Il centro storico è un progetto culturale, non esiste in sé. La città è un fenomeno unitario e l’isolamento del centro storico è un fenomeno moderno. L’idea del centro storico è derivata dalla storia dell’arte e il primo cenno di interesse sui centri storici è di Pasolini nel 1975, in occasione di un documentario nel quale si chiedeva agli intellettuali di segnalare un monumento. Lui scelse un centro storico, quello di Orte. Poi vennero le guide del Touring, orientate alla valorizzazione dei centri minori”.

Una questione, quella del centro storico e dei centri minori, che va vista con uno sguardo al territorio. “L’Italia è un Paese di paesi, la stragrande maggioranza dei centri storici si trova in Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti. Il 58% è area interna e lì gli abitanti sono il 20% del totale. È un fenomeno rilevante del quale dobbiamo parlare, soprattutto perché siamo in un momento di decrescita strutturale e dobbiamo essere capaci di fare una selezione di cosa possiamo salvare e perché. Non possiamo disseminare i nostri centri storici di alberghi diffusi e va detto che il tempo è una variabile importante. Prendiamo la ricostruzione di Nocera Umbra dopo il terremoto del 1997: 18 anni sono veramente troppi e la vita nel frattempo si è spostata altrove. Ci sono progetti fuori luogo, fuori scala e fuori tempo massimo”.

Quindi cosa fare, consapevoli anche delle enormi difficoltà provocate da un sisma? “Dobbiamo guardare i centri storici non isolati da una scala territoriale più vasta. Il secondo aspetto è superare la strategia vincolistica di leggi troppo vecchie, rovesciare la visione dell’urbanistica che ci dice quello che non è possibile fare indicando invece quello che è possibile fare. Occorre superare la tendenza a considerare l’identità ad un tempo idilliaco che è passato e non c’è più. Perché l’identità è trasformazione, non è possibile vedere un centro storico in maniera statica. Il centro storico o è contemporaneo o non è città”.

Alla tavola rotonda finale hanno preso parte anche Andrea Coscia, vice presidente dell’Ordine degli Architetti, e Antonio Zamponi, presidente dell’Ordine degli Ingegneri.


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