di Andrea Braconi
Giulia aveva 17 anni quando la bulimia l’ha uccisa. Era il 15 marzo 2011, un giorno che ha cambiato radicalmente la vita dei genitori, in particolare del padre Stefano, che subito ha deciso di dare vita ad un’associazione per celebrare quella Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla che, soltanto nel 2018, è stata ufficialmente riconosciuta dal Governo.
Una tragedia ed un evento ricordati da Alessandro Luciani, presidente della Fada onlus, associazione di familiari con figli con disturbi da comportamento alimentare, in occasione della presentazione del libro “Prima di aprire bocca” dello psicanalista e psichiatra Leonardo Mendolicchio.
All’iniziativa, tenutasi al Delfino Verde di Porto San Giorgio, ha preso parte anche Patrizia Iacopini, direttrice del Centro per i disturbi del comportamento alimentare (Dca) dell’Area Vasta 4.
“Stiamo vivendo una criticità per il rinnovo dei contratti dei nostri operatori – ha esordito la dottoressa Iacopini nel tracciare lo stato dell’arte del servizio nel territorio -. Perdere uno di loro, anzi, uno di noi, è qualcosa che non ci riporterà al livello elevato a cui siamo arrivati oggi. Ma grazie alla vostra voce – ha detto rivolgendosi ai tanti familiari presenti – spero che chi ci rappresenta abbia preso coscienza di quella che potrebbe essere una grave perdita per il sistema sanitario locale e non solo. Con questa fiducia credo potremo andare avanti e fare veramente tanto. Abbiamo già avviato il centro diurno con grande fatica e, quando entrerà a pieno regime, sarà motivo di incoraggiamento per avere un equipe potenziata”.
Una realtà, quella fermana, che vede sempre più numerose le richieste di visite e prese in carico urgenti e gravi, soprattutto di giovani ragazze e ragazze. “Ad oggi siamo arrivati ad avere quasi 400 persone in carico, ma la cosa interessante è che facciamo anche delle dimissioni: questo significa che da questa malattia si può anche uscire e che il tempo è un elemento importante, non dobbiamo avere fretta o spingere sull’acceleratore. Serve una terapia a 360 gradi, con figure multi professionali che fanno la differenza”.
“Con Fermo lavoriamo insieme da tempo – ha raccontato Mendolicchio – e abbiamo iniziato un percorso che ci fa crescere insieme. Parlare di Dca vuol dire offrire anche una lettura di uno spaccato della nostra società e quando parliamo di questi ragazzi non possiamo non parlare, inevitabilmente, di come si muove questo mondo. Riflettere insieme, quindi, ci permette di capire una serie di cose dentro e dietro questa sofferenza. Il rapporto con cibo e corpo è trasversale, coinvolge tutti quanti noi, e noi siamo chiamati ad aprire le porte dei nostri centri di cura per stare tra la gente e per confrontarci sulle singole questioni”.
L’obbligo, in tempi come quelli che stiamo vivendo, è perciò quello di superare muri e porte, per stare insieme. “Non c’è una parola che può forzare quel silenzio e il soggetto affetto da anoressia o bulimia – ha evidenziato -. Poter parlare di se è un punto non di partenza ma di arrivo”.
L’educatore Filippo Romagnoli ha sottolineato come questo libro sembri spingere tutti ad una riflessione: “Prima di aprire la bocca forse dovremmo accendere il cervello” ha affermato.
“I titoli non vengono scelti a caso – ha aggiunto l’autore -. Nell’approccio a questi ragazzi c’è un prima, anche se noi in quest’epoca ci dimentichiamo della storia, del fatto che c’è tutta una parte dell’esistenza che viene prima della parola. Il cibo è il primo strumento di comunicazione che l’essere umano sperimenta nel corso della sua esistenza, subito dopo essere venuto al mondo. E i nostri soggetti anoressici sono un po’ in quella condizione. Esiste quindi la possibilità di entrare in relazione ancora prima di aprire bocca”.
Altro tema toccato da Mendolicchio è stato quello dell’orgoglio di essere madre e padre sul fronte della testimonianza. “I genitori devono poter trasmettere questo esempio ai propri figli, senza pensare che la nostra umanità debba per forza essere cambiata o diventare perfettibile. È bello viversi la relazione sul versante della naturalità. Offriamo quello che siamo. E questa, che può sembrare una banalità, è invece una cosa che può fare la differenza. Partiamo dall’autenticità della relazione, e non dalle cose artefatte”.
Infine, il paradosso della morte, presente nella pubblicazione dello stesso Mendolicchio. “La morte non è la fine del legame, ma la fine del contatto corporeo. E non parlando della morte non capiamo tutto questo. Così ci rendiamo tutti impotentemente esposti alla solitudine” ha chiosato, prima di toccare la questione della morte del desiderio. “Noi siamo la società dell’iperconsumo e sprechiamo tantissimo cibo che non viene consumato. Ci orientiamo anche verso cibi che non ci saziano ma creano dipendenze. Il desiderio, invece, è qualcosa che ci permette di restare sospesi pensando al domani, qualcosa che si spinge ad immaginare la nostra esistenza in progressione. La morte del desiderio ha tante cause e nel libro sostengo che uno degli aspetti cruciali è che questa società ci spinge a consumare, ci satura subito”.
Un capitolo che ha suscitato polemiche è quello sulla questione di genere. “Spesso in queste ragazze trovo un grande punto interrogativo: per loro che cosa è essere donna? Questa è una domanda che probabilmente è importante per tutte le donne, ma che si fa sempre molto meno. Un soggetto anoressico non ha strumenti per abbozzare una risposta. Ma è una cosa che vedo anche sul versante maschile, oggi tutto schiacciato sul fronte del potere”.
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