LA RECENSIONE
“McQueen” mostra il lato umano e sensibile dietro al genio provocatore

CINEMA - Le sequenze scelte dai registi ripercorrono il processo che lo ha portato ad essere non solo la leggenda impenetrabile e intramontabile, ma prima un operaio, un sognatore.Nonostante le interviste con i collaboratori e i famigliari, il film lascia che l’arte, “così selvaggia bellezza”, parli da sola.

 

di Eraldo Di Stefano

Il film biografico su una delle più celebri e note icone della moda e del fashion Lee Alexander McQueen sbarca nelle sale. Questo sceneggiato però vuole entrare nell’intimità del genio creativo, mostrandolo non solo come “l’enfant terrible”, come i media erano soliti chiamarlo, bensì qualcosa di più emotivo e profondo, e di come questo suo appellativo all’inizio lo divertiva ma poi pian piano aveva iniziato a pesargli sempre più, fino a disprezzarlo.

I registi Ian Bonhôte e Peter Ettedgui raccontano la vita di Alexander McQueen attraverso le sue più importanti sfilate e le 5 videocassette registrare che tracciano la sua evoluzione come artista e come egoista, servendo da cornice per comprendere come la fama abbia influito sulla sua salute mentale e sui suoi problemi di dipendenza. La differenza tra il film e il documentario sul tanto discusso stilista risiede nell’interpretazione e nella rappresentazione della tipologia di artista dello stesso McQueen: dietro le provocazioni nei suoi progetti si nascondeva una limpida umanità, i suoi indumenti rappresentavano le espressioni delle sue emozioni e delle sue idee non filtrate.

Le sequenze scelte dai registi ripercorrono il processo che lo ha portato ad essere non solo la leggenda impenetrabile e intramontabile, ma prima un operaio, un sognatore.
Nonostante le interviste con i collaboratori e i famigliari, il film lascia che l’arte, “così selvaggia bellezza”, parli da sola.


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