L’uomo Scirea e quel Platini sdraiato
sul prato di Tokyo: Salvatore Giglio
e la storia fotografica della Juventus

FERMO - Il fotografo, ospite di Radio Fermo Uno, ha ricordato le figure più importanti del club

di Andrea Braconi

Gaetano Scirea e Michel Platini sono state due icone del calcio mondiale ma, soprattutto, della storia della Juventus. Due calciatori diversi per ruolo (uno difensore, l’altro attaccante) ma entrambi dotati di un talento unico. Così come di caratteri agli antipodi. Riservato il primo, sicuramente più diretto il secondo.

Ad unirli, oltre ai colori bianconeri, una figura come Salvatore Giglio, storico fotografo della Vecchia Signora, ospite nella mattinata nei nostri studi di Radio Fermo Uno. Incalzato dalle domande di Jessica Tidei, Giglio, ha ripercorso alcuni dei momenti e delle figure più significative dello storia del club torinese.

Il motivo della sua visita in terra marchigiana, nello specifico a Serra de Conti, è una mostra commissionata dal quotidiano Tuttosport su Gaetano Scirea, indimenticabile capitano della Juve, tragicamente scomparso in Polonia nel 1989 a causa di un incidente stradale.

“Da fotografo ufficiale della Juve avevo il contatto quotidiano con i giocatori e ho avuto la fortuna di conoscere il loro lato umano – ha ricordato Giglio -. Con loro si creava un rapporto di fiducia, mi chiamavano per i battesimi, ho anche fatto i matrimoni di Cabrini e Paolo Rossi. Oggi, invece, con i giocatori non hai più il contatto diretto, hai tanti filtri da passare, prima ti fanno parlare con il procuratore e ti chiedono quanti soldi gli dai. Ma prima era una famiglia”.

E con Scirea c’era un rapporto particolare: silenziosi tutti e due, ma pronti a capirsi con un semplice sguardo. “Mi emoziono a parlare di Gaetano. La sua è stata una tragedia che ho vissuto in prima persona. Quell’autostrada maledetta in Polonia dove è avvenuto l’incidente l’avevo fatta un mese prima, con un macchina piena di taniche di benzina perché non c’era lungo quel tratto lì. Ero andato a fare il servizio fotografico alla squadra che poi la Juventus incontrava nelle coppe. C’erano i lavori in corso, con un avviso prima ma la strada era libera”.

Poche settimane dopo l’impatto e l’incendio che strapparono via Scirea alla sua famiglia, ai tanti tifosi della Juve e agli amanti di questo sport. “Sono ritornato per la partita della Juve e mi sono fatto 500 chilometri per andare sul luogo dell’incidente, per portare dei fiori che mi aveva dato la moglie Mariella. C’erano degli operai che lavoravano, mi hanno dato informazioni e sono andato dalla Polizia dove ho anche visto le foto dell’incidente, che ho fotografato e che oggi custodisco. Il poliziotto che aveva fatto le foto mi ha poi mandato le foto originali, che non ho aperto e che ho dato alla moglie di Gaetano”.

Il ricordo di Scirea, Salvatore lo vive tutti i giorni. E lo porta dentro. “Mi ricordo un giornalista che gli aveva fatto una domanda: ‘Ma non ti dà fastidio che tutti i giorni vengano a chiederti un autografo?’. ‘Basta poco per far felice una persona’. Ecco, questo era Scirea”.

E così, nel piccolo Comune dell’Anconetano, è nata una mostra in 40 scatti che, per tre settimane all’interno del Municipio, racconterà per immagini un calciatore ed un uomo speciale. Immagini che creano emozioni, come evidenziato da chi ieri sera ha partecipato ad una cena di solidarietà per le popolazioni terremotate, alla quale hanno preso parte anche ex giocatori bianconeri come Tacchinardi, Ravanelli, Tardelli, Briaschi. “È stata una bellissima festa, ho rivisto giocatori amici miei, io che sono il custode della loro gioventù. E in tanti mi hanno detto: ‘Lei è riuscito a fotografare l’anima di Scirea’ e questo è sempre stato lo scopo nel mio lavoro”.

Unico italiano inserito nella lista dei 14 fotografi premiati come i migliori dell’Uefa, record di 1.000 partite ufficiali al seguito della Juventus battuto nel 1997, Giglio sin da bambino è un tifoso della Vecchia Signora. “Ho iniziato a fare il fotografo a 14 anni, ho scoperto che avevo la fotografia dentro di me ma che non lo sapevo. Quando ho iniziato mi informavo, chiedevo consigli a quelli più grandi di me, ma oggi tutto questo non c’è più, vogliono tutto subito. È un lavoro difficile, che si impara tutti i giorni, è un’arte che si aggiorna sempre, non puoi stare fermo altrimenti sei perduto. Oggi con la digitale sono diventati tutti fotografi, ma la fotografia deve dare emozione, altrimenti rimane un pezzo di carta o un file su computer. Oggi i giovani fanno il compitino, si copiano uno con l’altro, non vanno per fare La Foto ma Le Foto”.

E lui “La Foto” che lo ha reso famoso l’ha scattata l’8 dicembre del 1985, in Giappone: quella con Platini sdraiato sul manto dello stadio nazionale di Tokyo, che lo stesso calciatore francese ha definito “la foto che ha fatto la mia storia”. “Io gli ho risposto: ‘Michel, anche la mia’ – sottolinea Giglio -. Ancora oggi è la sua foto più venduta e l’avvocato Agnelli mi disse: ‘In quella foto ci sono tutti i Platini’”.

Un’immagine legata ad un goal annullato, con lo stesso Platini che per protesta si distende sul prato verde. “Eravamo 100 fotografi a quella partita, ma sono riuscito a farla solo io. È successo che quando inquadro lo faccio con l’occhio sinistro e non con il destro, come gli altri. L’arbitro annulla, i giocatori vanno a protestare e con l’occhio destro ho visto Platini buttarsi in terra. Così ho fatto in tempo a fare tre scatti, mentre tutti gli altri non hanno visto la scena. Sono stato fortunato”.

Ma altre sono state le foto che ne hanno consacrato la maestria. “C’è quella della finale del Mondiale in Spagna, con la piramide azzurra dopo il goal di Altobelli premiata dalla Fifa come la più bella foto del Mondiale del 1982. C’è anche la foto dell’urlo di Tardelli, dalla Fifa definita l’immagine del secolo”.

Quella a cui resta più affezionato, però, è con Scirea che cammina sul prato da solo. “Era troppo umile per pensare e dire che era uno dei più forti al mondo. Il suo essere riservato forse gli toglieva qualcosa a livello di immagine, ma non significa che era un debole, anzi, al contrario sapeva parlare con i suoi silenzi. Un giocatore con la sua classe non esiste più a livello mondiale”.

Ma Giglio porta con sé anche un volume prezioso, con dentro la prefazione di Alex Del Piero e l’introduzione di Giampiero Boniperti, altra icona bianconera. “La Juventus non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore, diceva Boniperti. Io sono nato nel 1947, l’anno in cui Boniperti ha debuttato in serie A. E mi sono trasferito a Torino nel 1961, quando ha smesso di giocare. Mia moglie da ragazzina ha fatto una foto in campo in occasione dell’ultima partita di Boniperti e quando Boniperti è diventato presidente lei è diventata la sua segretaria. Poi è anche diventata mia moglie. Nel libro, di 400 pagine e con più di 500 fotografie, ci sono 90 anni di Boniperti, da tifoso, da giocatore e da presidente. Ma c’è anche la storia della Juventus che ha vinto tutto in Italia e nel mondo, c’è la storia della mia carriera, dei giocatori e dei tifosi. Ci sono anche foto che non ho fatto io, ma nel 1986 ho comprato tutto l’archivio storico della Juventus”.

Lui, che alla Juve era arrivato nella stagione 1976/77, l’anno dell’arrivo di Trapattoni e del suo primo scudetto da allenatore. “A volte ho la sensazione di avere 120 anni anch’io – conclude Giglio -, proprio come la lunga storia della Juve. E ogni foto è una storia”.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti