di Andrea Braconi
“Guarda che qui si è lavorato sempre, quando il teatro era chiuso si facevano gli spettacoli al Cinema Nuovo e all’aperto”. I ricordi di Danilo Tomassini sono quasi tangibili, tanta è la sua passione nel tirarli fuori da un cassetto immaginario dove per quasi quarant’anni ha adagiato amicizie, fatiche e incontri. Dal primo settembre quest’uomo nato il primo gennaio del 1954 non è più lo storico custode del Teatro dell’Aquila di Fermo, ma un felice pensionato, custode di una memoria unica, forse irripetibile. “Sono entrato in servizio il primo maggio del 1980, ho fatto qualche anno in fabbrica, sono anche stato due anni in biblioteca ma poi, dalla riapertura del teatro, sono sempre stato qui”.
In questo luogo sono passati artisti di grandissima rilevanza nazionale e internazionale.
“Quello che mi ha dato l’input su come si vive in teatro è stato Carmelo Bene, un personaggio particolare. Stava facendo un allestimento del Macbeth durante una stagione invernale, arriva, io mi avvicino e gli faccio: ‘Maestro!’. Lui mi prende in disparte e mi fa: ‘Ricordati una cosa: io recito perché voi preparate e lavorate. Io mi chiamo Carmelo’.”
Una grande lezione di vita.
“Esatto. Posso dire che per la mia esperienza ho capito che i personaggi – fatte ovviamente le dovute eccezioni – più sono importanti, più sono semplici. Alessandro Gassmann, ad esempio, è una persona di un’umanità incredibile. È stato qui la prima volta in allestimento con ‘A qualcuno piace caldo’ con la Casale. Poi lei ha avuto una tragedia, con il compagno ucciso dai pirati nei Caraibi. Ho chiesto ad Alessandro se avesse più visto Rossana e mi ha risposto che non aveva più avuto il coraggio di chiamarla, troppo era il dolore per quella perdita. Mi ha raccontato anche di quando con il padre abitava nel centro di Roma, in un palazzo bellissimo. Non gli mancava nulla ma quando passava in periferia con il treno vedeva queste casette piccole, queste baracche, e si sentiva male. Anche Daniel Ezralow era stato qui, poi è tornato dopo tanto tempo con ‘Cats’ insieme alla Compagnia della Rancia e mi ha detto ‘Ciao Danilo, come stai?’, lasciandomi letteralmente sorpreso.”
Il teatro per te ha significato anche il rapporto con il pubblico, con le maschere e con tanti amministratori.
“Di rapporto con il pubblico ne ho avuto poco, stavo sempre dietro le quinte. Molto di più con le maschere, con tanti amministratori e con numerosi tecnici. Questo è un lavoro che ti dà tante soddisfazioni e ti arricchisce tanto, però da una parte ti toglie anche tanto: ti toglie le amicizie e i contatti, quando lavori i giorni festivi e le notti, quando vedi che hai finito ti guardi intorno e ti chiedi ‘Chi c’è vicino a me?’, non trovando nessuno.”
Di cose da raccontare e da custodire, però, ne restano molte.
“E forse un giorno ci scriverò qualcosa. Lo stimolo nasce da una profonda amicizia con Michela De Liguori, piemontese e autrice di numerose poesie. Un giorno per caso le ho detto che da noi sarebbe venuto Luca Ward e lei mi disse che ne ammirava la bellissima voce, oltre che le doti attoriali. Allora le ho domandato: ‘Proviamo a fargli leggere una tua poesia?’. E così è stato. Era una poesia che aveva un grande spessore e Ward è rimasto meravigliato. Ci ho preso gusto, anzi, con Michela ci abbiamo preso gusto e le abbiamo fatte leggere ad una serie di artisti, come Saverio Marconi, la figlia di Chaplin, Venturiello e Tosca, la Ferilli, Favino, Ricky Tognazzi, Simona Izzo ed altri.”
Ti sei mai domandato del perché riuscissi ad entrare così in sintonia con questi artisti? Era solo una questione di ruolo o c’era qualcosa in più?
“Devi metterci del tuo, devi essere cortese e disponile, per scoprire alla fine che sono persone come te. Con Gassmann era nata una bella amicizia, l’ultima volta che è venuto ero girato e stavo preparando una cosa, mi sono sentito abbracciare ed era lui.”
Cosa facevi durante uno spettacolo? Se avevi la possibilità sbirciavi qualcosa?
“Poco, perché comunque stavo lavorando. Tanti mi hanno detto ‘Beato te che hai visto tutti gli spettacoli’ invece non è proprio vero. Certo, in alcune situazioni più tranquille con un occhio seguivi, ma con l’altro eri in servizio.”
E comunque la tua presenza poteva essere richiesta in qualsiasi momento.
“Certamente, ma anche se non era richiesta comunque hai quella deformazione lì: non sto assistendo ad uno spettacolo, sto lavorando. Ho fatto anche qualche foto dietro le quinte e questo accadeva quando riuscivo a conquistare la fiducia degli artisti e dei loro agenti.”
Da oggi non sei più in servizio: verrai a teatro da spettatore?
“Penso proprio di sì. Ma sai – e questo l’ho riscontrato con altri tecnici – abituato a muoverti dietro le quinte, stare seduto non è facile. Lo spettacolo l’ho sempre visto dall’altra parte, farlo da una sedia la vedo come una sofferenza.”
E adesso che farai? Hai già pensato a come vivere questo tempo che ti si spalanca davanti?
“Adesso voglio uno stacco di una settimana, standomene tranquillo. Se suonerà il telefono per il teatro dirò loro di rivolgersi ad altri, anche se non sarà facile. In questi anni quando serviva ero sempre pronto a partire da casa per dare una mano. Spero in un futuro anche di potermi staccare da Fermo, per provare un altro tipo di esperienza, soldi permettendo.”
C’è già un tuo sostituto?
“Non ancora, hanno fatto un concorso il 27 del mese scorso ma non so nulla.”
Un uomo con la tua esperienza e con questo amore consolidato con il mondo del teatro, cosa si sente di dire alle nuove generazioni?
“Di venire in teatro e di lasciare spenti i telefonini. Qui si ascolta e si trova un altro mondo. Perché il teatro è un altro mondo, è un’altra vita. C’è l’attore, c’è il contatto, cosa che non hai con internet e con le videochiamate.”
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati