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Psicosi da Coronavirus:
gli errori di media, scienza
e politica “Siamo tutti responsabili”

ANCONA - Esperti a confronto nella sede degli Ospedali Riuniti. Le parole di Franco Elisei, Michele Caporossi, Fabrizio Volpini e il giornalista Michele Romano

di Andrea Braconi

Un confronto tra professionisti di varie discipline quello tenutosi ieri agli Ospedali Riuniti di Ancona perché, come ha ribadito Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche, “un’informazione corretta serve a tutti, soprattutto agli utenti destinatari finali dei messaggi”.

Noi non siamo semplici narratori della storia. Il nostro ruolo è quello di avere un approccio critico nei confronti di tutto ciò che raccontiamo” ha aggiunto Elisei, precisando però come la categoria, pur avendo grandi responsabilità sulla questione Coronavirus, non può e non vuole farsi carico di responsabilità altrui.

All’iniziativa, denominata “Media e Coronavirus. Come gestire la comunicazione”, hanno preso parte anche Michele Caporossi, direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Marcello Tavio, direttore Sod Malattie infettive Ospedali Riuniti e presidente Simit (Società italiana malattie infettive e tropicali), Fabrizio Volpini, presidente della Commissione Sanità della Regione e medico di medicina generale, Michele Romano, giornalista esperto di crisis management.

Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche

TITOLI ED EFFETTI

“Il messaggio lanciato da Consiglio nazionale dell’Ordine è chiaro: informare, non allarmare – ha proseguito Elisei – Se non riusciamo a capire noi, il messaggio può suscitare psicosi o reazioni sbagliate. Quindi, il richiamo alla responsabilità è sulla base di un principio: dobbiamo prima capire per far capire”.

Da diversi anni l’informazione usa un linguaggio che cerca di alzare il livello di attenzione. “Navighiamo in pieno mare di post verità, una variante della fake news, dove la verità e il contenuto passano in secondo piano rispetto all’effetto che fa quella notizia. Deve colpire più l’aspetto emotivo per avere un effetto accattivante”.

Elisei ha sviluppato il suo ragionamento utilizzando una serie di slide, caratterizzate da immagini e titoli di diversi quotidiani. “C’è l’effetto mascherina di Fontana – ha detto -. Che percezione dà? Che la situazione è molto grave? C’è anche l’effetto politico, come in un titolo che interpreta un messaggio del presidente del Consiglio Conte. Abbiamo anche l’effetto topi con l’intervista a Zaia, con una dichiarazione poi rettificata ma dall’effetto dirompente”.

Nel titolo il giornalista deve essere sintetico, efficace e immediato, ma il rischio è di ritrovarsi con altri tipi effetti, come effettivamente accaduto: la catastrofe, l’assedio, la blindatura, l’effetto killer, la psicosi.

“Sono tutti titoli che portano ad un escalation di drammatizzazione” ha evidenziato il presidente prima di raccontare come paura, complotto e anche un effetto che ha definito dirompente abbiamo segnato le ultime settimane fino ad arrivare ad una sorta di retromarcia, paradossalmente da parte della stessa testata che in precedenza aveva optato per una comunicazione molto diversa.

“C’è stato anche un effetto ripensamento, persino da settori medico scientifici come l’Oms, così come una frenata ”.

A detta di Elisei uno dei titoli più costruttivi è stato invece quello di Avvenire con un deciso “Prudenza e unità contro virus e paura”.

“Cinque testate nazionali sono state denunciate per procurato allarme e per aver pubblicato articoli lontani dalla verità. A questo punto sembra che la responsabilità diventi tutta dei media, ma questo non è accettabile” ha affermato.

DENTRO L’INFODEMIA

Elisei ha anche parlato di una sorta di effetto infodemia, che richiede alcuni passaggi cruciali: verifica e citazione delle fonti, rifiuto del sensazionalismo, rispetto della dignità dei malati, linguaggio appropriato, continenza espressiva e dei titoli, ma soprattutto attinenza alla verità dei fatti.

“C’è un problema di misura, oltre che di senso di responsabilità. Occorre aiutare a conoscere e leggere i dati, cosa che facciamo attraverso i tecnici ed individuando gli interlocutori giusti. Ma la situazione dei pazienti va chiesta alle istituzioni sanitarie, non alla Protezione Civile, altrimenti l’utente finale che percezione ha?”.

Sono diversi, allo stato attuale, gli interrogativi ancora da chiarire. “È il paziente a rischio o è il sistema sanitario a rischio? Le misure sono state appropriate al fenomeno? Il confronto con le altre realtà è sempre utile, il nostro microcosmo non è l’ombelico del mondo. Serve anche un confronto con dati riferiti altre patologie per misurare l’effettiva gravità del fenomeno. E poi: quali sono i pazienti a rischio? All’inizio è passato il messaggio che questo virus fosse come la peste, un messaggio equivoco di cui tutte le dimensioni si debbano assumere le rispettive responsabilità. Ecco, noi giornalisti siamo un po’ responsabili, ma non siamo del tutto responsabili”.

CHI E COME DEVE GESTIRE LA COMUNICAZIONE

Di grande impatto la relazione del giornalista Michele Romano, che vanta una una lunga esperienza nella gestione della comunicazione nei momenti di crisi e che inizialmente ha focalizzato anche lui l’attenzione sulla scelta della comunicazione affidata alla Protezione Civile. “Non dico è sbagliato o è fatto bene, ma l’immagine che abbiamo è che la crisi è gestita da chi abitualmente si occupa di gestione di catastrofi”.

È importante lavorare prima di una crisi, ha spiegato, e per farlo servono un piano di comunicazione, la creazione di un team e l’individuazione di un portavoce. “Dobbiamo già avere informazioni nel cassetto, non possiamo correre. Occorre definire una policy dell’organizzazione per gli eventi critici, stimare le potenziali crisi e delineare le eventuali dichiarazioni, oltre che comunicare con i media con continuità. Chi gestisce la crisi ha l’obbligo di confrontarsi continuamente con voi, dovete sapere chi è. È importante preparare le liste delle audience potenziali, quali sono radio, tv, online, quotidiani e periodici. Serve rispondere accuratamente adeguando la propria velocità a quella dei media, così come capire quali sono e se sono neutralizzabili i punti ‘esplosivi’. Nelle Marche, ad esempio, ci sono stati fatti particolarmente esplosivi che si sapevano e si potevano gestire”.

Sull’attività del team, Romano ha precisato come questo aspetto non si possa improvvisare. “Dobbiamo considerare sopra ogni cosa la sicurezza dei soggetti coinvolti, conoscere rapidamente i fatti accaduti, avere informazioni tempestive e contatti costanti con le autorità locali, identificare le prevedibili domande e sviluppare punti di discorso inerenti, condurre e facilitare eventuali richieste”.

E su questo aspetto oggi ci troviamo in uno scenario di conflitto assolutamente inedito. “Litigano i giornalisti tra loro, litigano i politici tra di loro, litigano a livello regionale e locale. Il fatto inedito è che litigano tra loro anche gli scienziati fuori dalle loro audience, quindi tramite giornali e social”.

Forte è la correlazione tra la pubblicazione di notizie a tema Coronavirus e le conversazioni che presentano alti livelli dell’emozione. “Molto dipende da come si scrivono le notizie e da come escono dalla fonte. E una crisi in ambiente social non si batte, non è possibile. Noi possiamo provare a trasformare le cose negative in positive, senza avere paura di dire no: costruiamo una relazione migliore con il pubblico dimostrando onestà e assumendoci le responsabilità degli errori”.

Come operare, quindi? Romano ha identificato 4 punti: accentrare i flussi di comunicazione da e verso i portavoce; mantenere il controllo dei flussi informativi per controllare i rumori e correggere le inesattezze; fare annunci tempestivi a meno che speciali circostanze lo impediscano; comunicare con ogni audience e se possibile direttamente. “È così complesso – si è chiesto – che l’Anci raggruppi la comunicazione o devono parlare per forza tutti i sindaci? Possiamo pensare di avere oltre ad un comunicato stampa (che funziona poco per radio e tv) qualcosa che ci aiuti a mettere in condizione il giornalista di avere una serie di informazioni che possa usare velocemente?”.

Ci sono poi quelli ha definito “i 20 passi per non inguaiarsi”: lavorare alle relazioni personali; essere preparati; badare ai fatti; essere proattivi; disporre di un media center; delimitare un perimetro fisico; avvisare i media; usare la rete; monitorare le notizie; organizzare briefing giornalieri; creare il cosiddetto “suono” giornaliero; dire la verità, soltanto la verità; creare uno staff bene addestrato; parlare lentamente; riconoscere quando si è sbagliato; registrare conferenze e interviste perché “nulla è fuori registrazione”; mai dire “no comment”; controllare la folla (“Cioè capire come tira il vento”); creare una buona sensazione.

Perché altrimenti il rischio è quello di trasformare una crisi in catastrofe, un passaggio che Romano ha voluto rimarcato citando l’episodio delle Prefettura di Rimini “avvertita in ritardo”, quello del Comune di Piandimeleto con il sindaco che ha affermato di essere venuto a conoscenze di “ultime notizie apparse sui mezzi di comunicazione locale”, fino al numero verde sul Coronavirus voluto dalla Regione Marche, “che sta comunque funzionando benissimo con informazioni semplici, precise e puntuali” ma che resta attivo dalle 8 alle 20, rimanendo così fuori da un momento temporale topico della comunicazione, vale a dire la messa in onda serale dei principali tg nazionali le cui notizie aggiornate potrebbero suscitare dubbi e richieste da parte dei cittadini, i quali però a quell’ora non troverebbero più un interlocutore.

COME SUPERARE IL DIALOGO TRA SORDI

Il direttore generale Michele Caporossi ha ricordato ai giornalisti presenti il tavolo creato due anni fa da professionisti dell’informazione, della salute, università e azienda sanitaria. “Il nostro è un lavoro che continua, è un impegno che mira a superare definitivamente il dialogo tra sordi che poteva esserci tra operatori dell’informazione e della salute”.

TRA MEDICINA E POLITICA

“Quanto sta accadendo è un banco di prova del lavoro che questo tavolo deve fare, come gestire in una fase così complicata una corretta informazione che abbassi il livello di allarmismo e renda consapevoli i cittadini della situazione in cui ci troviamo”. È stata questo l’incipit di Fabrizio Volpini, presidente della Commissione Salute. “In questi giorni invece abbiamo avuto esempi non coerenti, da parte di tutti. Tra gli scienziati c’è stata una sorta gara di illustri esperti in questo settore, un calcare le scene spiegando la situazione secondo il loro punto di vista. Ed è emerso, per chi non è in grado di leggere questi aspetti, quasi una sorta di conflitto tra medici”.

Le sfumature e le divisioni all’interno della medicina sono sempre esistite, ma esistono ancora di più di fronte a fenomeni nuovi e inattesi. “Se queste vengono riverberate in maniera così forte, creano nei cittadini confusione e anche una diminuzione di fiducia nei confronti della scienza. Per questo ci vuole consapevolezza da parte nostra. Ad esempio, si banalizza l’influenza, ma tutti sappiamo che se questa colpisce certi soggetti non è una malattia banale e può dare complicazioni”.

Riguardo all’aspetto politico, Volpini si è detto convinto che in fasi come queste informazioni e comportamenti debbano essere armonizzati in tutto il territorio. “Qualsiasi decisione presa deve essere suffragata da numeri, ma purtroppo in questo primo scorcio di epidemia tutto ciò non è avvenuto”.

E oggi che il tema è il numero di posti letto nelle rianimazioni, “con i titoli dei giornali che sono di nuovo all’insegna della preoccupazione e dell’allarme”.

Poi la domanda che riecheggia un po’ ovunque: ma le Marche sono a rischio? “Da noi nessun territorio è soggetto a provvedimenti restrittivi, come invece sta accadendo altrove. Stando al numero dei casi accertati, motivi per fare provvedimenti restrittivi non ce ne sono. C’è da parte nostra un monitoraggio continuo della situazione e se cambierà verranno modulate risposte adeguate”.

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