di Massimo Valentini (presidente Fondazione San Giacomo della Marca)
Caro Direttore,
questi due mesi di clausura domestica è stata una grande occasione per andare al fondo di sé e riscoprire alcune verità fondamentali. L’esperienza della fragilità strutturale di sé accompagnata al continuo guardare attraverso letture,relazioni ed approfondimenti giudicati con gli amici, le testimonianze della presenza di una pietà per l’umano che riconcilia con sé stessi salvando la nostra ragione e la nostra tensione morale ha fatto emergere frutti di consapevolezza insperati.
In una convivenza così stretta ed esclusiva con i più prossimi poteva insorgere una crescente insofferenza oppure sperimentare la bellezza di differenze che si incontrano e che si completano. Grazie alle testimonianze di cui parlavo e che mi hanno accompagnato in questo periodo io ho fatto questa esperienza di un crescente compimento nella relazione con una differenza che per il fatto di esserci contesta il tuo status quo allargando il tuo angusto orizzonte che invece aspira ad una dimensione infinita. Nulla potrà essere come prima per queste esperienze vissute. Anche per la posizione nei confronti della politica si è approfondito un giudizio da cui per la sua ragionevolezza non si può tornare indietro.
Prima della quarantena, ormai da molti anni, nel dibattito pubblico e tanto più sui social è prevalso lo schema della delegittimazione dell’avversario politico e quindi la modalità prevalente è stata quella di un aggressione verbale a cui sistematicamente si accodando quelle persone dei social che vivono di reattività. C’è una impostazione fondamentale nel rapporto che prevale o si nega, ovvero che l’altro per il fatto di esserci e non per quello che fa è comunque un valore per te, anche quando sbaglia. L’esito di una impostazione culturale di fondo, che nega questo valore dell’altro a prescindere, fondata su un moralismo che giustifica se stessi e diffida dell’altro, è stato da una parte la sudditanza nei confronti della cultura del capitalismo finanziario. Una cultura che ha perseguito la centralizzazione per il controllo del potere mascherandolo con l’esigenza della rapidità delle decisioni e svilendo di fatto in questi anni il Parlamento come luogo deputato al dialogo necessario per arrivare a quelle decisioni necessarie per il bene del Paese.
L’altra conseguenza di questa impostazione è stata quella di un progressiva crescita del metodo politico della reprimenda pubblica, reattiva e violenta, che non riesce mai ad andare a fondo dei termini concreti del problema che si solleva, ma perseguendo solo il facile consenso di quelle persone che vivono di reattività. La mia esperienza dice che è ragionevole affermare che oggi i rappresentanti politici attualmente in carica, eletti dal popolo italiano, a prescindere dalla loro adeguatezza, sono comunque un potenziale valore da cui partire oggi per costruire. Conte è comunque un valore a prescindere da quanto si possa condividere quello che dice e fa, così pure Salvini o Renzi. E’ assolutamente necessario in questo momento un dialogo tra di loro che dovrebbero raccogliere le varie istanze del paese per determinare le strade da percorrere in questo momento di grave crisi. E’ necessario il contributo di ciascuno perché ciascuno può suggerire un aspetto che l’altro non considera permettendo di arrivare ad una sintesi operativa più efficace per tutti. La necessità del dialogo non implica l’essere d’accordo oppure confondere maggioranza e opposizione, al contrario il dialogo è fondamentale perché ci sono punti di vista diversi che devono assolutamente emergere in un rispetto per l’altro e per le Istituzioni. In una democrazia parlamentare la maggioranza ha un radicale bisogno dell’opposizione per perseguire il bene comune.
Le esperienze locali di comunità economiche, sociali e politiche che non vivono la diversità come un problema da eliminare, ma come un prezioso valore, documentano l’efficacia della propria azione che persegue un bene comune e non di parte. A ciascuno di noi per l’esperienza che vive la scelta di accodarsi ad una reattività violenta che fa emergere un consenso effimero di breve periodo oppure quella di vivere questo incontro con l’altro come un valore per sé, fosse il peggior nemico o la persona più lontana. L’esperienza suggerisce inequivocabilmente che si costruisce solo amando la differenza che l’altro porta, anche in politica.
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