E’ passata poco meno di una settimana dall’improvviso temporale che ha provocato smottamenti di terreni agricoli, con una massa di terra e fango che si è riversata sul centro abitato di Casette d’Ete. Un fenomeno che ha stimolato una riflessione al geologo Luciano Taddei, profondo conoscitore del territorio elpidiense. “Le emergenze di questi giorni, se prese come indicatore, possono aiutarci non tanto per capire cosa sta succedendo in campo meteorologico, ma piuttosto per individuare azioni e rimedi, nella piena consapevolezza che con questi eventi dovremo sempre più confrontarci” esordisce il professionista.
A suo avviso, “il violento acquazzone di sabato scorso non ha nulla a che vedere, per fortuna, con le cause dela tristemente nota alluvione del marzo 2011. C’è però una similitudine: in entrambi i casi gli effetti furono accompagnati da un notevole trasporto solido (terra e fango, per intenderci) che hanno contribuito a rendere disastrosi gli effetti: nel 2011, riempiendo il letto dell’Ete Morto, quindi diminuendo la velocità dell’acqua e, conseguentemente, favorendo l’esondazione. Oggi, non è esondato nulla, ma terra e fango hanno invaso ugualmente strade ed abitati”.
L’esperto ritiene che non serva a nulla “appellarsi ai repentini cambiamenti climatici, per due motivi: il primo, perché se continuiamo a sottovalutarli senza seri provvedimenti, avremo altri effetti e non solo quelli di cui stiamo parlando. Il secondo è che anche in un passato recentissimo (anno 1956) a Fermo si verificarono in un’ora 56 mm di pioggia. Eventi di ben altro spessore rispetto a quelli del 2 maggio, dove si parla di non più di 20 mm nella fascia Adriatic. Se precipitazioni come quelle del 1956 si fossero verificate oggi, le conseguenze sarebbero ben altre, visto come abbiamo urbanizzato il nostro territorio. Quindi basta, almeno per una volta, a parlare di eventi eccezionali o di bombe d’acqua che non esistono: si è trattato di un violento temporale. Se poi facciamo parlare i numeri, guarda caso il 2 e 3 maggio del 2014 ci fu un altro evento con ben 120 mm di pioggia”.
La soluzione, secondo Luciano Tadderi, è cambiare le colture. “Siccome siamo tutti coscienti che questi eventi si possono ripetere a brevissima scadenza, i rimedi (quando possibili) andrebbero presi sempre con immediatezza, anche per non correre il rischio di perdere la memoria che è il male maggiore. Su un aspetto si può intervenire subito: le zone a rischio sono facilmente individuabili: aree e servizi pubblici di fondovalle, ovvero, abitati, zone industriali, strade. Se poi ci vogliamo riferire a Sant’Elpidio a Mare: Casette d’Ete, Bivio Cascinare, Luce Cretarola e strade adiacenti. Nelle aree immediatamente a monte di questi ambiti va riconvertita l’agricoltura, evitando e favorendo colture che non richiedono, con frequenza, arature e movimenti del terreno. E’ giunto il momento di confrontarsi con gli operatori; sono convinto che chi oggi interviene in un certo modo è ben propenso a valutare colture alternative, come il rimboschimento o le piantagioni da frutto. Una volta i contadini lasciavano la capezzagna, ovvero una fascia incolta prima del fiume dove non si arava e venivano realizzati i fossi di scolo. Oggi bisogna rimettersi in discussione ed a breve termine, mentre a lungo termine i programmi europei favoriscono queste opportunità. Ma forse è meglio pensare, da subito, a quello che può accadere domani”.
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