Le marchigiane Emanuela Rossi (regista) e Denise Tantucci (attrice)
di Paolo Bartolomei
La locandina del film “Buio”
Tre sorelle, Stella, Aria e Luce vivono rinchiuse in una casa dopo la morte della loro madre. Il padre esce ogni giorno per procurarsi il cibo in una realtà esterna che descrive come apocalittica in seguito ad una eruzione solare. Per loro e per le donne in genere il mondo sembra essere diventato off limits.
Senza volerlo, “Buio” si è rivelato profetico per la quarantena di questi mesi, nel film la causa è il sole malato. L’idea nasce dalle estati roventi degli anni scorsi e il timore, l’inquietudine, di mamma Emanuela (dopo la nascita, dieci anni fa, della figlia Costanza) per i cambiamenti climatici, per la paura che per il troppo caldo non saremmo potuti più uscire. Il riferimento è alla famiglia tradizionale patriarcale italiana, ma non è autobiografico, ci tiene a precisare la regista.
Emanuela, mentre prima era appassionata solo di film d’autore (vedi la prima realizzazione: il cortometraggio “Il bambino di Carla“, nel 2007), dopo la realizzazione di “Non uccidere” (serie TV, 2015) si è avvicinata anche al genere thriller.
Da sin. Francesco Genovese, Emanuela Rossi, Denise Tantucci, Olimpia Tosatto, Gaia Bocci, Elettra Mallaby
Buio è interpretato da Denise Tantucci (“Tre Piani”), anconetana e Valerio Binasco (“La guerra è finita”), già direttore dal 2006 al 2007 del Teatro stabile delle Marche, di cui prima e dopo è stato anche regista, attore e insegnante. Recitano anche Gaia Bocci, Olimpia Tosatto, Elettra Mallaby e Francesco Genovese.
Il film, che si avvale delle illustrazioni dell’artista Nicoletta Ceccoli, degli effetti speciali della casa “Frame by Frame” (a livello dei migliori film internazionali), è sceneggiato dalla regista Rossi con Claudio Corbucci, che è anche produttore.
Valerio Binasco
“Buio” ha vinto il Premio Raffaella Fioretta per il Cinema Italiano ad Alice nella Città 2019, è stato presentato in concorso al Tallinn Black Nights Film Festival 2019 ed è stato presentato in concorso al Festival Univercinè Italien di Nantes 2020, dove ha vinto il Prix des Lycéens.
Realizzato con il contributo del POR FESR Piemonte 2014-2020 – Azione III.3c.1.2 – bando “Piemonte Film TV Fund” e con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte, Buio è prodotto dalla Courier Film, con la produzione esecutiva della Redibis Film, con Daniele Segre e Daniele De Cicco. Hanno scritto bene del film la giornalista Concita De Gregorio, Piera Detassis (direttrice dei Davide di Donatello, nell’auspicio che venga candidato) nonché lo scrittore fermano Angelo Ferracuti. Il film può essere visto e scaricato solo in streaming dal 7 al 21 maggio sulla piattaforma internet MyMovies.
L’INTERVISTA A EMANUELA ROSSI
– Emanuela, lo scenario di “Buio” sembra quello cupo e distopico che stiamo vivendo. Il mondo che tu hai immaginato è già qui tra noi, in questo senso di clausura, di soffocamento che vivono le tre protagoniste. Come nasce il film?
Emanuela Rossi premiata per il cinema italiano ad “Alice nella città” (Roma, 2019)
«Molti spettatori che avevano visto lo scorso ottobre il film alla Festa del cinema di Roma allo scoppio della pandemia mi hanno chiamato stupiti, dandomi della veggente. Io no, non mi sono stupita. Da tempo sentivo che qualcosa stava arrivando, soffro per i cambiamenti climatici, sono terrorizzata dallo scioglimento dei ghiacciai. Soprattutto d’estate, negli ultimi quattro cinque anni, ho cominciato a pensare che presto per il caldo non saremmo più usciti e saremmo rimasti per sempre chiusi nelle nostre case, come in un romanzo di Ballard. Da qui l’idea delle finestre sbarrate. A questo si è unita la mia visione dei rapporti familiari non idilliaca, anzi, piuttosto claustrofobica. Vengo da una famiglia tradizionale marchigiana ed io ero esuberante, quindi il ricordo che ho di me bambina ed adolescente è di un carcerato che passa il tempo a pianificare la fuga! Buio è nato così, da un “soffocamento” privato e da un altro più sociale, ambientale, uno connesso all’altro, e i due soffocamenti si sono intersecati. Diciamo che soffro molto la costrizione».
– Da qui il tono un po’ magico, ibrido del film, che pratica il crossover di generi.
«La storia di Buio è già di per sé molto dura, e io credo che di brutture nel mondo ce ne siano già abbastanza, come anche di film che con sadismo le ripropongono pari pari agli interpreti e agli spettatori, senza bellezza, quindi ho cercato un’altra strada. Soprattutto volevo allontanarmi dal tono classico del cinema d’autore, un po’ per stanchezza rispetto a tanti film che ormai tendono ad essere un po’ tutti simili, di genere d’autore, appunto; e poi perché il mio tema lo imponeva. Quindi, ho cercato soluzioni più fantasiose.
Trattandosi di bambine, ed avendo io una bambina piccola, quasi naturalmente è entrata la favola, nera nera come la pece, come tutte le favole del resto. Negli ultimi anni del resto ci sono stati ottimi esempi di cinema di questo tipo, un po’ ibrido: Only the lovers left alive, di Jim Jarmush, storia di vampiri chiusi in un loro mondo estetico, contro le brutture del mondo, che con la sua estetica post-moderna, mi ha aperto un mondo.
Buio, girato un anno fa, senza volerlo ha precorso i tempi, profetizzando l’emergenza epidemiologica del 2020. “Ma da qualche anno c’erano segnali che qualcosa non andava nell’ambiente” afferma la regista Rossi
Oppure lo splendido Lasciami entrare di Tomas Alfredson, ancora storia di vampiri, che con dolcezza racconta in modo incredibilmente forte il bullismo e le difficoltà dell’adolescenza, le difficoltà della crescita, laddove altri hanno usato la durezza e il neorealismo. Così per le sorelle ho scelto una casa isolata che sembra un po’ un castello infestato dai fantasmi. E per le protagoniste ho cercato fanciulle eteree, che avessero dei volti “classici”, da principesse, ma, se vogliamo anche da film horror.
Le due più piccole, Luce/Gaia Bocci e Aria/Olimpia Tosatto, entrambe debuttanti assolute, l’ho trovate con un regolare casting a Torino, di quelli classici con le mamme che portano le figlie. Con Stella/Denise Tantucci è stato un caso: guardavo con mia figlia Sirene (fiction tv Rai su delle ragazze-sirene) e compare questa specie di elfo, dall’aria per me stranamente familiare: nei modi, nell’aspetto esile aveva qualcosa di me e alle mie sorelle. L’ho chiamata e ho scoperto che era della mia regione. L’ho preso per un segno! Abbiamo fatto il provino e mi ha colpito, in una ragazza così giovane, una certa durezza e distacco, come se già la vita l’avesse messa alla prova. E poi lei mi ha detto: va bene, ho fatto finora fiction a volte anche troppo commerciali (Braccialetti rossi) ma ora basta, ora voglio soffrire, voglio fare cose più difficili. E in più si sta per laureare in fisica e aspira al Nobel! Anche nella seconda, che studia danza classica a livello professionale con una maestra russa, ho notato la stessa abitudine a “resistere”. Visto che il film parla di questo, di ragazze che soffrono e “resistono”, mi sono sembrate le candidate più giuste (il film è dedicato alle ragazze che resistono). E poi, dico: avete visto i primi piani di tutte e tre?»
La regista insieme al produttore, Claudio Corbucci
– Le protagoniste del tuo film hanno nomi naturali, Stella, Aria e Luce. Si può leggere anche come una favola post apocalittica, ambientalista, come una forma di resistenza alla barbarie del mondo globalizzato?
«Sì, un po’ della favola in Buio c’è: ho una bimba piccola, trattavo di bambine, o poi ero un po’ stanca di film d’autore sempre con gli stessi costumi, le stesse case… Così ho fatto indossare alle mie protagoniste camice da notte da Wendy, ispirate dalle immagini della grande illustratrice Nicoletta Ceccoli, il cui lavoro compare nel film, e le ho rinchiuse in una casa di fantasmi, con “sterilizzatori” e tunnel di decompressione. Però, come in tutte le favole, il nucleo di Buio è duro, violento, e, come dici tu, resistente. Alle mie protagoniste manca tutto, perfino le stelle, l’aria, la luce, il padre gliel’ha tolte, e loro resistono ricreandole in salotto. Ma, in fondo, nelle nostre società così avanzate, i bambini queste cose ce l’hanno? Il discorso sul patriarcato quindi s’intreccia a quello sul consumismo/globalizzazione, sistemi che accomuno nella rapacità, nel bisogno di “prendersi tutto”. Il padre di Buio è un uomo cattivo, ma dice una frase chiave: “il mondo fuori è sporco, malato, lo hanno distrutto”. Insomma, è tutto un sistema che non regge più. Tutto sta crollando. Lo stiamo vedendo in questi mesi. Il Padre continua a ripetere che l’Apocalisse sta arrivando, ma non è già arrivata, nei nostri centri commerciali più distopici di una navicella spaziale? Quale genitore, vedendo il mondo che abbiamo, non sente istintivamente il desiderio di sbarrare il portone di casa? Certo, se leggi Ballard, Dick, Gibson o Il recente Il libro di Joan di Lidia Yuknavitch (la fantascienza mi è sempre piaciuta, fin da ragazzina) entri più in quest’ottica. Ma non starci per me vuol dire essere ciechi (in Buio faccio proprio un discorso sulla cecità/visione). Io dico, c’era bisogno di arrivare a questa pandemia per accorgersi che qualcosa non andava? Non c’erano già i segni prima? Dipende da cosa uno vuol vedere. Ma purtroppo, come dice Amitav Ghosh nell’immenso recente saggio La grande cecità, noi occidentali siamo rimossi, ancora immersi nell’idea antica della centralità dell’uomo/logos che domina tutto, compresa la natura. E quindi, ad esempio, releghiamo ciò che è disastro naturale alla letteratura e al cinema di serie b, il cosiddetto “genere”, mentre gli autori seri parlano di ben altro. Ebbene, forse è arrivato il momento di capire che questo è un grande abbaglio. In tutto il film il disastro ambientale è soprattutto evocato con delle scene del Padre fuori, ma io l’ho detto, sono anni che sentivo che qualcosa di forte sarebbe arrivato».
Un delle scene apocalittiche del film
– La religione è una presenza sostanziale, usata anche mezzo di controllo da parte del Padre. Qual è il rapporto della regista con la religione e se ci parla del ruolo di essa all’interno del film?
«Io vengo da una famiglia tradizionale marchigiana, in cui la religione era molto presente e anche la triade Dio/Padre/Famiglia. Sono grata alla mia famiglia per il senso del sacro che mi ha dato e per la conoscenza di alcuni elementi che ho della religione, che del resto è stata una delle fondamenta della nostra cultura. Secondo me non conoscerla è un peccato, oltre che una limitazione alla comprensione di tanti aspetti della nostra società. Ovviamente sappiamo tutti che spesso la religione si è legata al controllo dell’individuo, lo vediamo bene ora in cui i sovranisti cercando di appropriarsi della parte peggiore della religione per cercare un consenso nella parte della popolazione che ha bisogno di superstizione e di capi che evocano paure infantili. Se vogliamo, il Padre del film è davvero un sovranista, tanto che ha creato uno stato autonomo, tutto suo, all’interno della sua casa, ad uso di bambine facilmente spaventabili. Se mi chiedi del rapporto mio, con la religione, adesso, debbo dire che mi interessa la religione di Papa Francesco, attenta al mondo, agli ultimi, alle catastrofi ambientali. E’ l’unico oramai che ne parla, di queste cose, lui e Greta Thumberg. La seconda parte del film in qualche modo esprime questo cammino verso un senso di rinnovamento, di rinascita, di cambiamento. Di luce. La stessa figlia Stella, prima così adepta del Padre, alla fine lo sbugiarda pure sulla fede. Vedendolo in ginocchio gli dice “tu non hai mai pregato”. E dopo aver conosciuto il buio, cerca finalmente il Bene. Sì, Stella per fortuna va verso un senso di giustizia e autonomia personale che mi piace molto.
Così alla fine ho messo un twist. che utilizza elementi da disaster-movie. Del resto, l’ho sempre dichiarato, questo è un film d’autore che spazia nel genere. E nel genere le cose vanno fatte bene, sennò sei Ed Wood. Visto che erano previsti effetti speciali importanti, ci siamo rivolti ad una società leader in Italia di effetti speciali, la Frame by frame che si è innamorata del film e ci è venuta incontro con i prezzi. Per fortuna, sennò sarebbe stato impossibile. E invece questa parte era sostanziale per la storia, ribalta un po’ tutta la vicenda. In un certo senso, è la rivelazione del film. Devo dire che lavorare con i tecnici degli effetti speciali è stato entusiasmante, mettono e cancellano, cambiano totalmente una scena… Ecco: spero di farlo ancora!»
– Con la situazione attuale del cinema, il 7 maggio non potete uscire in sala, e quindi uscite in streaming su Mymovies; è un problema?
«Certo, sarebbe stato bellissimo per me uscire in sala, ma forse per un film indipendente come questo è anche un’opportunità per avere più vita. Inoltre noi non ci limitiamo ad uscire in streaming, ma abbiamo messo a punto un sistema che coinvolge anche esercenti delle sale cinematografiche in tutta Italia, ora chiuse. Loro ci sponsorizzano tra i loro spettatori abituali e noi gli corrispondiamo una percentuale. Siamo i primi a farlo, e credo sia un sistema virtuoso per far vivere seppur on line le sale e fare sì che un film mantenga un rapporto con il territorio, e non sia solo un corpo virtuale perso nella piattaforma. Sosteniamo il cinema indipendente e il buon cinema!».
Elettra Mallaby nel ruolo della mamma
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