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Dalla famiglia al lavoro: le difficoltà
delle donne ai tempi del Covid
L’analisi dell’assessore Ferracuti dati alla mano

PORTO SANT'ELPIDIO - L'assessore Ferracuti: "A pagare il prezzo più alto della crisi economica causata dal coronavirus rischiano di essere come da tradizione le donne, vale a dire i soggetti economicamente più fragili"

“Le fabbriche che lentamente sono ripartite, i negozi e tutte le varie altre attività che hanno riaperto e le scuole che restano chiuse. Una combinazione che rischia di mettere in difficoltà molti genitori. E’ lo scenario che delinea la fondazione studi Consulenti del Lavoro in uno studio che esamina la tematica ‘Mamme e lavoro al tempo dell’emergenza Covid-19’. Per queste ultime si prospettano tempi di ripresa più lunghi: meno della metà di quante sono rimaste a casa per effetto dei diversi decreti (44,1%) è tornata al lavoro dal 4 maggio, a fronte di una quota molto più alta per gli uomini (72,2%). In Italia ci sono infatti circa 3 milioni donne occupate, poco meno di un terzo del totale (9 milioni e 872 mila), con almeno un figlio di età inferiore ai 15 anni. Saranno proprio le mamme, secondo lo studio, il segmento più in affanno per la fase 2 oramai avviata”. E’ quanto comunica l’assessore di Porto Sant’Elpidio, Emanuela Ferracuti.

“Dallo studio emerge che in questi mesi di sospensioni e lockdown, le donne con figli hanno lavorato più dei papà. Un fattore collegabile per i consulenti del lavoro al differente livello di occupazione tra uomini e donne nei settori industriali e nei servizi essenziali, laddove la presenza femminile risulta più bassa nei primi e più alta nei secondi. In questo periodo di necessità ed emergenza è stato promosso ed usato moltissimo il lavoro agile, ma gli studi recenti segnalano che solo nel 36,6% dei casi i lavoratori chiamati a riprendere le proprie attività lo hanno fatto in smart working. E c’è anche un altro aspetto: la crisi si è accompagnata a un peggioramento della qualità del lavoro delle donne, evidenziato nella precarietà, nella crescita del part-time involontario, nella crescita del fenomeno della sovraistruzione. Nei primi tre trimestri del 2019, le donne in part-time sono un terzo (32,8%) delle lavoratrici contro l’8,7% degli uomini. E, rileva inoltre l’Istat, il part-time – rimarca l’assessore Ferracuti – non è cresciuto come strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma è sempre più uno strumento utilizzato per la flessibilità dal lato delle imprese. La stessa relazione parla anche delle criticità nella conciliazione dei tempi di vita. Un tema che si ricollega facilmente al tema del rientro al lavoro nella fase 2. L’11,1% delle donne che ha avuto almeno un figlio nella vita non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli (3,7% è la media europea). E spiega l’Istat che la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è molto legata ai carichi familiari, il tasso di occupazione delle madri è più basso di quello delle donne senza figli. Se padri e madri occupati riportano problemi di conciliazione in ugual misura, sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per meglio combinare il lavoro con le esigenze di cura dei figli. Le principali modifiche apportate riguardano la riduzione o il cambiamento dell’orario di lavoro. La nascita dei figli comporta anche interruzione nell’attività lavorativa delle donne, decisione che riguarda anche le meno giovani, perché le difficoltà di conciliazione dei tempi di vita non diminuiscono nel tempo.
A pagare il prezzo più alto della crisi economica causata dal coronavirus rischiano di essere come da tradizione le donne, vale a dire i soggetti economicamente più fragili.
Infatti di fronte a tali dati – aggiunge Ferracuti – c’è poi anche l’effetto delle scelte dei singoli. Scelte purtroppo obbligate. Perché se in una coppia possono tornare al lavoro entrambi, ma a casa ci sono anche figli, qualcuno a casa deve rimanere. Soprattutto se non sono state create in tempo le condizioni per avere alternative. Gli interventi finalizzati a sostenere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle numerose mamme lavoratrici, come il bonus baby-sitting o i congedi parentali straordinari, sono senz’altro uno strumento utile in fase d’emergenza, ma forse difficilmente applicabile e sostenibile nel lungo periodo.
Un altro dato su cui riflettere è inoltre quello riguardante il gap di genere sulle retribuzioni. Secondo il report realizzato dall’Osservatorio JobPricing con Spring Professional, nel 2019 a parità di lavoro con uomo, una donna ha guadagnato il 10% in meno. In media gli uomini hanno ricevuto uno stipendio annuo più alto di di 2.700 lordi rispetto alle colleghe. In base a questi dati non risulta dunque difficile comprendere quale sia lo stipendio da sacrificare in presenza di una crisi economica e di difficoltà nella gestione dei figli, col risultato che il gender gap anziché diminuire tornerà ad aumentare. In definitiva a fronte di una difficoltà diffusa di tutte le mamme lavoratrici, tra quelle che non possono ricorrere allo smart working, il disagio famigliare si somma a quello economico, determinando una maggiore criticità”.


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