“Manca sempre meno alla riapertura delle scuole in Italia ed al ritorno di milioni di bambini e ragazzi sui banchi.
Infatti l’obiettivo, come ripetuto più volte dalla Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, dal Premier Giuseppe Conte e da altri esponenti del governo, è riportare i ragazzi a scuola, farli tornare fisicamente nelle aule e lasciare la didattica a distanza, la tanto temuta Dad, per le emergenze”. Inizia così l’intervento dell’assessore ai Servizi Sociali di Porto Sant’Elpidio Emanuela Ferracuti sulla condizione femminile in vista del rientro a scuola.
“Si è fatto un gran parlare dei nuovi banchi con le rotelle, ma purtroppo regnano ancora incertezze e dubbi sulle questioni più scottanti. Per esempio, cosa fare se il figlio presenta sintomi, anche blandi, quando è l’ora di andare a scuola? Pediatri ed esperti dicono di non mandarli in classe, nemmeno con un raffreddore, ma quali sono le vie che un genitore lavoratore può intraprendere? Chiederà un giorno di smart working? E si potrà decidere all’ultimo minuto? Ci sono già delle regole? Un altro anno di didattica dalla cucina di casa o seduti al tavolo in sala è, per i genitori e le associazioni, impensabile. Secondo una ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università Bicocca, il 30% delle mamme lavoratrici pensa di lasciare il lavoro nel caso in cui l’anno scolastico 2020/2021 riprenda con la Dad. Ed allora l’Italia non è un Paese per mamme (lavoratrici)? Da uno studio condotto a livello nazionale e realizzato da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università Bicocca sembrerebbe proprio di sì. L’analisi, che ha preso in considerazione le risposte di 6.905 genitori di bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie, evidenzia come il 65% delle mamme lavoratrici intervistate non ritiene conciliabile la famosa didattica a distanza con il lavoro. Oggetto di discussione degli ultimi mesi, la didattica a distanza è stato l’unico modo per permettere agli studenti di concludere l’anno scolastico, obbligato a uno stop forzato a causa della pandemia di Covid-19. Ma è una tipologia di insegnamento che ha delle lacune e presenta delle criticità, che sono emerse nel corso dei mesi di lockdown e di graduale rientro alla normalità. Tanto che il 30% delle mamme intervistate ha detto che, in caso di ricorso alle lezioni da remoto anche a settembre, prenderebbero in considerazione l’ipotesi di lasciare il lavoro. Una fotografia, quella di genitori stressati e affetti da parental burnout, che già era stata mostrata al termine del lockdown. Il futuro di questo anno scolastico preoccupa i genitori di tutta Italia, ma a rischiare di subire maggiormente le conseguenze delle decisioni relative alla didattica di bambini e ragazzi sono ancora una volta le donne. Il motivo principale è che sono proprio loro quelle che si occupano nella maggior parte dei casi della gestione di figli e casa, fanno fare loro i compiti e, durante il lockdown, li hanno seguiti durante le lezioni da remoto. Una realtà supportata anche dai numeri: a usufruire dei congedi parentali Covid previsti dai decreti Cura-Italia e Rilancio, sono state le madri nel 76% dei casi. Maggiormente colpite anche come destinatarie di cassa integrazione ordinaria, con il 61,5% dei casi. Molte si sono aiutate con lo smart working, che ha permesso di gestire da vicino i figli, consentendo il lavoro da casa, e con le baby sitter, grazie al bonus baby sitter previsto dai decreti e rifinanziato dal dl Agosto (che stando agli ultimi dati sarebbe stato chiesto da più di un milione di persone). Una situazione emergenziale, che di certo non può essere protratta per un altro intero anno scolastico”.
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