Da sinistra: Anna Maria Grasso, Lorella Borraccini e Romana Attorresi
di Andrea Braconi
Il Covid, per la dimensione socio sanitaria, è stato una sorta di uragano che ha investito tutto e tutti. Da quel febbraio, quando anche l’Italia iniziò a prendere coscienza di una rapida e drammatica circolazione del virus, tutti i servizi sono stati messi a dura prova.
“Ogni giorno si susseguivano nuove direttive nazionali” spiega Romana Attorresi, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Area Vasta 4. “Bisognava proteggersi, così come bisognava proteggere i pazienti. Poi, improvvisamente, il lockdown. “Da quel momento abbiamo potuto prendere in carico soltanto le situazioni inderogabili, cioè i pazienti che non si poteva non trattare. Questo però ha fatto nascere l’esigenza del come agire, del pensare ai pazienti in isolamento e con una determinata situazione clinica e a tutti gli altri che erano isolati perché, ovviamente, dovevano rispettare le restrizioni. Abbiamo lavorato in presenza per tutte le patologie prioritarie in fase acuta, traumi, fratture, quello che proveniva dall’ospedale e non era Covid, compreso il neurologico; tutto il resto però rimaneva chiuso in casa”.
Tante le richieste di visite domiciliari, che si sono via via accumulate. “Prima abbiamo iniziato a chiamare le persone per valutare i bisogni e le loro necessità ma da lì abbiamo pensato di utilizzare un’altra via: quella tecnologica. Siamo quasi stati dei pionieri, non c’era documentazione in proposito. Come Unità Operativa Complessa abbiamo prodotto un primo documento, ma ci siamo chiesti: si può fare? abbiamo la strumentazione per farlo? i familiari hanno strumentazione e cultura digitale per poterlo fare? Ma eravamo talmente desiderosi di dare una risposta che siamo andati avanti, fino all’approvazione da parte di Asur e Area Vasta”.
Accanto a lei c’è Anna Maria Grasso, fisioterapista coordinatrice, che ripercorre sia le difficoltà tecniche iniziali (da quella piattaforma Skype for Business che poi ha lasciato il passo ad un’altra più funzionale sempre gestita dall’Asur), sia le tantissime consulenze on line di un anno di pandemia. “Sono state circa 150, soprattutto in risposta a richieste di visite domiciliari. Per le prese in carico, però, abbiamo preferito dove possibile la modalità in presenza: per i pazienti ha un impatto diverso e ci aiuta ad aprire un “canale” comunicativo, utile anche quando poi ci ritrovano in video chiamata, almeno già ci conoscono e sanno come ci approcciamo”.
Quindi, adattarsi è stato il mantra che ha guidato l’equipe coordinata dalla dottoressa Attorresi. “Con il tempo questa forma on line ha perso un po’ la sua incidenza, la gente tornava in ambulatorio, sembrava superato l’ostacolo… invece dopo, con ottobre, è ricominciato tutto da capo. Abbiamo adattato lo strumento al momento, nel frattempo a livello nazionale sono usciti fuori alcuni documenti del Ministero della Salute e noi abbiamo fatto una revisione del nostro progetto. Sicuramente c’è stato uno scatto di digitalizzazione ed un cambiamento che non avremmo mai pensato di fare, anche se l’utenza non era sempre pronta, anche a livello di cultura digitale. Però per il paziente che usciva dall’ospedale e che vedeva che riuscivamo a stargli accanto comunque, tutto questo era importante, sia in termini di continuità assistenziale che di rapporto con le famiglie, un elemento quest’ultimo fondamentale”.
Di questa situazione rimarrà indelebile in queste professioniste la sensazione vissuta all’interno del Murri e, nel caso di una fisioterapista, anche nel Covid Hospital di Civitanova Marche. “Andiamo in Rianimazione e negli altri reparti, siamo tutti abbastanza sotto pressione. Consideriamo che, come Radiologia e Laboratorio Analisi, siamo un Servizio trasversale e determinante nell’assistenza della persona”.
Perché il paziente in Rianimazione, precisa Attorresi, ha delle esigenze specifiche. “Inizialmente la nostra presenza in Rianimazione sembrava secondaria date le gravi condizioni di scompenso in cui si trovavano i pazienti, ma il nostro lavoro agisce anche sull’attività respiratoria e sull’affaticamento, in base a come troviamo il paziente agiamo, e ben presto è stata riconosciuta l’importanza del nostro intervento a vari livelli. La tipologia del malato ci chiede di comportarci in base alle condizioni cliniche, quindi a volte ci troviamo in situazioni tranquille e lavoriamo su recupero forze e autonomie; altre volte dobbiamo supportare i cambi posturali, prevenire i danni secondari, come evitare lesioni dei plessi”.
Infine, una sottolineatura che ritorna a quel documento innovativo pensato e voluto dal suo gruppo di lavoro. “Noi siamo parte del Dipartimento funzionale della Riabilitazione, coordinato dal dottor Caraffa e che raccorda le Aree Vaste 3, 4 e 5. Il protocollo prodotto per la presa in carico delle persone che si trovano in questa condizione è stato ed è utilizzato dalle tre Aree Vaste dipartimentali, che così sono riescono ad operare in modo uniforme”.
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