di Giorgio Fedeli (foto Simone Corazza)
“Un carico di lavoro immane, i pazienti sono sempre di più e siamo costretti a fare le giravolte per sistemarli qua e là. Si lavora in una condizione di stress indescrivibile. Così proprio non si può più andare avanti, siamo stremati”.
E’ il grido disperato di alcuni infermieri del Pronto soccorso dell’ospedale Murri di Fermo che stanno anche valutando la possibilità di scrivere una lettera alle istituzioni del territorio. Una missiva per mettere, di fatto, ‘nero su bianco’ quello che un pò tutti sanno, da tempo. Ma che, nei dettagli, forse non tutti conoscono così bene. In poche parole, un Pronto soccorso al collasso, manca di personale, di spazi. E mettiamoci anche che siamo ancora molto lontani dal debellare quel costume secondo cui ‘qualsiasi cosa fa male, qualsiasi cosa preoccupa, meglio andare al Pronto soccorso’. Un comportamento che certo non aiuta né facilita il lavoro dei sanitari e va a gettare benzina sul fuoco di un reparto, porta d’ingresso dell’ospedale, già rovente. Un mix ‘letale’.
“Il nostro carico di lavoro – sottolineano – è aumentato a dismisura. Certo con il Covid c’è stato un leggero miglioramento (per tutti quelli che, intimoriti dalla pandemia, hanno preferito non andare al Murri). Ora però ci risiamo, anzi siamo arrivati a una situazione non più sostenibile. Contiamo in media 100 accessi al giorno. Eravamo abituato a una permanenza dei pazienti che oscillava dalle 10 alle 15 ore. Ora abbiamo toccato punte anche di 150 ore. Un paziente è rimasto da noi per ben 168 ore. Di 80, 85, 88, 95, 116 ore di permanenza ne registriamo eccome, non sono certo una novità“. Numeri che fanno impressione, e a cui sembra difficile trovare una soluzione. “Sì, con questi numeri siamo arrivati ad essere praticamente un reparto da lungodegenza. Ma noi non siamo attrezzati per esserlo. Anzi non lo siamo, non possiamo esserlo. Con pazienti che restano giorni da noi, dovremmo anche pensare al vitto, alle medicine, alle terapie a cui sono sottoposti, come magari somministrare loro antidepressivi prescritti dai medici. In quei casi chiediamo i medicinali o ad altri reparti o direttamente ai familiari”.
Attualmente in forze al Pronto soccorso ci sono 44 infermieri e 5 medici a cui si aggiungono quelli della cooperativa che però non possono mettere mano a codici rossi. E il personale, per ogni turno, tra 7 infermieri e 3 medici, si divide tra triage, codici rossi, gialli, i casi Covid, la ‘camera calda’, un paio di loro che fanno da Jolly. Turni di lavoro da 7 ore mattina e pomeriggio, e di 10 di notte.
“Diventa davvero impossibile gestire, ognuno di noi, dai 25 ai 30 pazienti in contemporanea, quando un numero accettabile, con queste risorse, tra spazi e personale, a nostro avviso è di 15 pazienti e 5 ‘in piedi’. Anche con gli spazi, infatti, siamo full. Cerchiamo di sistemare tutti al meglio, ma diventa una missione impossibile. Ora anche l’area Covid è diminuita per fare spazio alla Tac, non arriviamo nemmeno con le barelle. Le pubbliche assistenze, le ambulanze che arrivano, spesso devono attendere perché stiamo accettando una miriade di pazienti, che arrivano anche da soli. Ah, in tutto questo mettiamoci anche chi perde le staffe e crea il caos, chi tenta di aggredirci, chi scappa. Chi pretende di essere visitato subito, chi esige, chi ci insulta. Cosa chiediamo? Semplicemente di poter lavorare con un pò di tranquillità“.
Ma come si può arrivare quantomeno ad invertire una rotta che sembra proprio sulla via del naufragio per il Pronto soccorso? “Dunque, i nostri vertici stanno lavorando, dobbiamo essere onesti nel riconoscerlo, tutti conoscono la nostra situazione. E la stanno affrontando. Ma con altrettanta onestà dobbiamo dire che ad oggi non è cambiato nulla. Il nostro primario Valentino si spende in ogni modo, anche in prima persona, per venirci incontro, per reggere all’urto. E riesce a risolvere le situazioni d’emergenza. Ma non è facile, affatto, andare avanti così tutti i giorni”.
“Come se ne viene fuori, dicevamo? Partendo, in primis, da una maggior collaborazione da parte dei medici di medicina generale. Diversi di loro, infatti, mandano i loro pazienti da noi anche se non hanno bisogno del Pronto soccorso, arrivano e chiedono anche solo un antibiotico “perché il mio medico mi ha detto di venire qui“, e magari tornano anche “perché la prima volta l’ho preso qui“. Non si può vedere il Pronto soccorso come un gran calderone dove mandare tutti, questo è un reparto di ‘medicina d’urgenza’, non di lungodegenza”. A volte ce li mandano con esami ‘urgenti’ che tanto urgenti certo non sono e continuano a mandarli da noi anche per le terapie. Ci rendiamo conto? Stesso appello rivolto a tutti quei cittadini che vengono da noi anche se non sono certo da Pronto soccorso, vengono anche per un mal di gola. Sì sì, non scherziamo, anche per un mal di gola, come accaduto con una ragazza un pò di tempo fa. Ma arrivano anche per un raffreddore, per un giradito, per piccoli traumi subìti dieci giorni prima ‘ma che ancora fanno maluccio’, c’è anche chi si presenza perché vuole farsi un tampone. Ma siamo forse un ambulatorio? E questo rappresenta anche un costo per la sanità pubblica perché noi non possiamo esimerci dall’accettare i pazienti”.
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