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Donne protagoniste contro il Covid, “ma disparità e violenza di genere non arretrano” “La Regione alimenta una cultura inaccettabile”

PORTO SANT'ELPIDIO - Incontro alla presenza di Emanuela Ferracuti, assessore alle Pari Opportunità, Daniela Barbaresi, segretaria regionale Cgil Marche, Manuela Bora, consigliera regionale, Antonella Ciccarelli, mediatrice familiare e sessuologa, Francesca Brugnolini, operatrice di sportello antiviolenza, e Gloria De Luca, psicologa

di Andrea Braconi

Dall’acquario del web agli incontri in presenza. Una conquista lenta e faticosa, alla quale la città di Porto Sant’Elpidio non intende rinunciare, come dimostrato dall’Assessorato alle Pari Opportunità nell’organizzazione di un’importante iniziativa dedicata alla donna. Ricco il parterre di presenze: da Daniela Barbaresi, segretaria regionale Cgil Marche, a Manuela Bora, consigliera ed ex assessore regionale; da Antonella Ciccarelli, mediatrice familiare e sessuologa, a Francesca Brugnolini, operatrice di sportello antiviolenza, e Gloria De Luca, psicologa.

A fare gli onori di casa l’assessore Emanuela Ferracuti, che ha evidenziato da un lato il pericolo di una crisi sociale senza precedenti, dall’altro il fatto che proprio la donna abbia pagato lo scotto più grande. “Sono argomenti di cui bisogna parlare per lanciare il messaggio che la disparità di genere esiste ancora” ha aggiunto.

Nel suo primo intervento Barbaresi ha parlato del grande elemento di preoccupazione legato alla fine del blocco dei licenziamenti, cioè di quello “straordinario successo per il nostro Paese per il quale rivendico il ruolo che il sindacato ha avuto”.

La difesa dell’occupazione, quindi, rimane una priorità indifferibile. “C’è una componente enorme di lavoro precario, frammentato e debole dove trovano occupazione donne e giovani. Nel 2020 nelle Marche sono stati persi 14.000 posti di lavoro e 3/4 erano posti di lavoro femminile. Prima dell’emergenza sanitaria il mondo del lavoro era già caratterizzato da diseguaglianze, ma nonostante questo le donne lavoratrici non si sono sottratte alle loro responsabilità e sono state straordinarie protagoniste nella lotta al Covid: lo hanno fatto nei servizi di cura, nel commercio e naturalmente nella sanità. Va detto che il 70% donne lavoratrici sono state contagiate, pagando così un prezzo alto da un punto di vista della salute ed occupazionale”.

Oltre all’alimentarsi di nuove disuguaglianze, si è assistito ad un incremento di quelle già esistenti. “Da un punto di vista retributivo, la differenza tra uomo e donna nel lavoro privato è di 7.100 euro lordi l’anno, mentre nel pubblico è di 8.400. Purtroppo competenze ed energie non vengono valorizzate al massimo. La donna vive una difficoltà di crescita professionale, ma abbiamo bisogno di rompere questo schema per affermare la cultura della parità tra uomini e donne e tra lavoratori e lavoratrici. Gli enti locali hanno davanti grandi opportunità e serve fare uno sforzo per provare a costruire i presupposti attraverso i quali le donne possano decidere quale lavoro fare e in quali condizioni”.

E il mondo delle istituzioni come sta? “Non è mai stato peggio e spero che la legge di Murphy non si realizzi in questa regione – ha affermato lapidaria Bora -. Quando ho letto la composizione della Giunta regionale ho detto: una sola donna in Giunta, cosa ci può essere di peggio? Di peggio c’è avere un assessore alle pari opportunità contraria alle pari opportunità, un’idea non isolata rispetto alla maggioranza. La priorità, c’è stato detto, era fare in modo di ostacolare il diritto all’interruzione di gravidanza, mentre dal capogruppo di Fratelli d’Italia che la donna si deve occupare di mettere al mondo i figli ed accudirli, che a portare a casa il tozzo di pane ci pensa il marito. Mancava solo di aggiungere che bisognava obbedire al padre e il quadro sarebbe stato completo”.

Per l’ex assessore non basta dire che le poche donne che rappresentano debbano svolgere il proprio ruolo con dignità e onore. “Dobbiamo capire quante donne vengono elette e che tipo di responsabilità hanno, è anche una questione di qualità. Rispetto alla Giunta Acquaroli ho presentato un ricorso per il mancato rispetto del genere, ma l’altro problema è che all’unica donna vengono date deleghe senza portafogli, mentre è giunto il momento che le donne non solo occupino le stanze dei bottoni ma che abbiamo le deleghe importanti per poter incidere”.

Il quadro tracciato è emblematico. “Solo il 17% dei sindaci sono donne, appena 1.536 su quasi 8.000. La consolazione nelle Marche è che esprimiamo la sindaca della città capoluogo. Altro dato:; sono il 36% le donne presente nei vari Cda, ma appena il 5% le donne amministratrici delegate. In Parlamento abbiamo il 35% delle senatrici elette e oltre il 36% di deputate alla Camera. Anche in Consiglio regionale la situazione è impietosa e pensiamo che in undici legislature c’è stata una sola donna presidente dell’Assemblea legislativa”.

Da Ciccarelli è arrivata un’approfondita lettura sulla famiglia, che molto si è trasformata negli ultimi 50 anni. “Sono stati rimessi in discussione i ruoli maschile e femminile, ma è importante capire che il lavoro alle donne non è una concessione. Secondo diversi studi internazionali, l’Italia paga una componente culturale che vede ancora in antitesi l’uomo che porta a casa il pane e la donna che si prende cura dell’emozioni della famiglia, della regia, degli anziani e dei bambini. C’è poi il tema della violenza, che si è amplificato per effetto di una coabitazione coatta in uno spazio ristretto. Ed è difficile per la donna chiedere aiuto per uscire da una certa difficoltà se poi questo aspetto non viene sostenuto da un’autonomia”.

Un aspetto centrale della violenza di genere di cui si parla troppo poco è quello economico, come evidenziato da Brugnolini. “Nel 2019 abbiamo avuto 58 ingressi, mentre nel 2020 sono stati 43. Da gennaio 2021 ad oggi, invece, siamo a 27. Lo scorso anno c’è stata una battuta d’arresto dovuta al lockdown, ma per quanto riguarda le telefonate al 1522 per denunciare una violenza subita nel Fermano c’è stato un incremento del 73%. Abbiamo anche notato che c’è stata una certa incidenza nell’aumento dell’età della denunciante: prima del 2020 era tra i 18 e i 50, adesso invece stiamo osservando richieste di donne dai 50 anni in su, che sono arrivate a telefonare, denunciare, venire da noi e raccontarsi”.

Durante la pandemia sono stati soltanto 2 gli sportelli aperti, mentre il resto del lavoro è viaggiato tra contatti telefonici e videochiamate. “Il nostro è un servizio importante che lavora in rete con forze dell’ordine, assistenti sociali e altri professionisti privati. Abbiamo sportelli in diversi punti del territorio, ma di recente abbiamo riscontrato più accessi in quelli di Porto Sant’Elpidio e Comunanza”.

De Luca, in questo ambito, si occupa dei colloqui. “All’inizio ero scettica sulla modalità remoto, ma poi mi sono ricreduta: è un tipo di setting e di supporto importante. Il confinamento forzato ha causato tensioni e litigi, ma il dato più preoccupante è che figli si sono ritrovati esposti ad una violenza assistita. L’uomo tende a voler diventare l’unico punto di riferimento della donna, per riuscire ancora meglio in una sorta di manipolazione psicologica, con la donna che perde l’esame di realtà, finisce per diventare fragile, insicura e sempre più impotente. In questi anni ho potuto osservare che il modus operandi di questi uomini è sempre un po’ lo stesso”.

La situazione di lavoro di gruppo con altre donne crea invece una grande solidarietà, come ha rimarcato la psicologa. “Nel gruppo concluso da pochi mesi, durato circa 4 anni, si sono anche create amicizie ed un sano supporto”.

Nella seconda parte della serata, l’attenzione si è spostata sulle prospettive post pandemia. “Questa sensazione di incertezza ci è rimasta dentro – ha affermato Barbaresi – e abbiamo bisogno di costruire una risposta che sia prima di tutto collettiva. Ci si salva dalla pandemia tutti insieme e anche sui vaccini serve uno sforzo di carattere collettivo. Nelle Marche tra le lavoratrici dipendenti solo una su 3 ha un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. E sono 900 le donne che ogni anno alla nascita di un figlio abbandonano il lavoro: quindi, il tema dei servizi e del welfare è fondamentale. Nella nostra regione ci sono pochi posti negli asili nido ed i servizi sono troppo cari. Risorse destinate a questo ci sono, nel Recovery Plan si parla di 220.000 posti in più negli asili nido, ma servono risposte concrete alle persone”.

Barbaresi torna sulle dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza che governa la Regione. “Abbiamo bisogno di smontare quella cultura malata che qualcuno vorrebbe rispolverare. E chi dice queste cose nell’assordante silenzio della Giunta regionale e delle consigliere di maggioranza non è il personaggio da bar, ma il capogruppo del partito che esprime il presidente della Regione. Non è accettabile continuare ad affermare l’idea di donne relegate nel ruolo produttivo o di cura, perché le donne sono un po’ di più. Le dichiarazioni di per sé sono già preoccupanti, ma questa maggioranza sta passando dalle parole ai fatti. Cito un esempio emblematico: la proposta di legge per modificare la composizione della Commissione Pari Opportunità. Si vorrebbero privilegiare donne che siano madri o disabili, o madri di figli disabili. Questo significa relegare le donne in un ruolo che non possiamo accettare, avremmo bisogno di guardare un po’ avanti anche per creare veramente un nuovo modello di sviluppo che tenga insieme sostenibilità ambientale e sociale”.

L’opinione pubblica sta attraversando un momento di grande smarrimento, ma dalle donne della maggioranza Bora si sarebbe aspettata un’alzata di scudi maggiore. “Nel 2021 c’è chi pensa che certi diritti non vengono toccati, invece stiamo capendo che non è così. Rivendico come la Giunta Ceriscioli abbia voluto quel protocollo interistituzionale sugli sportelli violenza e mi preoccupa invece ascoltare le parole della presidente Vitturini, che ha proposto alle colleghe della commissione un bel programma per uomini maltrattati. Sfugge alla presidente, però, che le donne, non sono vittime di un raptus ma che questa situazione è figlia di una cultura patriarcale che questa maggioranza sta alimentando. E questo è inaccettabile”.

C’è un elemento che per Ciccarelli può essere la chiave di volta per un futuro tutto da costruire: il fare rete, a partire dalla forza generata in un lavoro di equipe. “Sono però preoccupata perché non c’è consapevolezza, mentre dovremmo essere capaci come collettività di aiutare le persone a leggere quali sono i segnali premonitori di un comportamento che non cede il passo in modo automatico”.

Per Brugnolini la violenza di genere resta un fattore collettivo e su questo bisogna insistere. “Dobbiamo aiutare le donne ad avere sempre più consapevolezza, ma anche sensibilizzare l’opinione pubblica e le nuove generazioni. È vero che violenza è femminicidio, stupro ma è altrettanto vero che è anche psicologica. E la violenza di genere non è un fatto privato. Per questo il centro antiviolenza va aumentato, incrementato e promosso, così come occorre sensibilizzare medici, ginecologi ed ospedali”.

“Insieme si costruisce un percorso di uscita dalla violenza – ha aggiunto De Luca -. Serve un progetto individuale condiviso con un’equipe e concertato con forze dell’ordine e servizi sociali. Il mio auspicio è che le istituzioni inizino a dare contributi più concreti: con la pandemia l’asse sembra essersi spostato, ma oggi più che mai servono supporti anche a livello legislativo ed economico”.

“L’attenzione sempre sempre alta – ha rassicurato l’assessore Ferracuti – e anche in pandemia abbiamo cercato di informare e fare rete, attraverso una comunicazione costante. Oltre a questo, però, è necessario creare leggi ad hoc che abbrevino di più i tempi per aiutare la donna che denuncia”.


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