“Da decenni oramai il Centro Studi Carducci si appella alla classe dirigente della Provincia, con studi ed analisi dettagliati, perché si doti di un Piano Strategico che ci aiuti, attraverso una visione ed obiettivi concreti condivisi, a superare i molti ritardi e la nostra posizione di minorità anche in ambito regionale. Non possiamo quindi che salutare con soddisfazione il documento che il Tavolo per la Competitività ha presentato alla fine dell’estate scorsa. Con sincero interesse e spirito costruttivo quindi proponiamo alcune osservazioni che, ci auguriamo, possano costituire benzina per un riavvio ed approfondimento del lavoro fatto”. Cosi il centro studi Carducci di Fermo torna a parlare di sviluppo del territorio e lo fa in relazione al documento di programmazione ( sottoscritto dal Tavolo per la Competitività e lo Sviluppo della Provincia di Fermo e presentato all’inizio del mese di Agosto scorso.
“E’ positivo che parti sociali e pubbliche si propongano di elaborare una “strategia di medio e lungo periodo” – spiega il centro studi fermano – che includa non solamente le dinamiche economiche. Positivo, anche se non sviluppato nel documento, è il richiamo alla partecipazione e alla dignità delle persone come elementi fondamentali di ogni processo di sviluppo. Il lavoro fatto tuttavia appare decisamente insufficiente rispetto agli stessi obiettivi che enuncia. Da un lato molti temi sono affrontati senza il necessario approfondimento, che sarebbe potuto senz’altro scaturire da un ascolto attento del territorio, dall’altro manca quasi totalmente la traduzione degli obiettivi indicati, in molti casi genericamente, in “azioni di sistema” concretamente percorribili intorno alle quali fare squadra ed andare a caccia di risorse. Senza progetti le risorse non arrivano. Nello specifico, il Patto sconta ancora un approccio parzialmente “assistenzialista” quando si insiste molto di più sulla richiesta di sussidi e aiuti rispetto alla mobilitazione delle risorse interne. Molta attenzione viene opportunamente riservata al tema della formazione e delle conoscenze, anche se sorprende che si parli solo di maestranze e tecnici, come se quella degli imprenditori fosse irrilevante per la nostra crisi. A riguardo, occorreva forse tenere maggiormente in conto le indicazioni del recente studio Eurispes. Un supplemento di ascolto ed analisi avrebbe inoltre giovato, chiedendosi ad esempio come mai solo una piccolissima parte degli ingegneri gestionali che formiamo rimane sul territorio o se certi modelli di formazione “frontale” sono adatti alle microaziende artigiane che costituiscono l’”humus” fondamentale del nostro manifatturiero, rispetto, ad esempio, a modelli alternativi di “training on the job”. Rispetto al turismo, ci si attarda su soluzioni suggestive ma di difficile attuazione, come i brand territoriali, dimenticando problemi enormi come la paralisi del Porto Turistico o la progressiva decadenza della qualità delle strutture ricettive. Su agroturismo ed agroalimentare la realtà sta correndo molto più velocemente rispetto alle considerazioni espresse nel Patto. Al tema delle infrastrutture vengono dedicate poche righe e ancora meno all’efficacia ed efficienza della Pubblica Amministrazione locale. Troviamo interessante l’indicazione di decentralizzare l’assistenza sanitaria anche attraverso la digitalizzazione anche se vanno chiariti bene i modelli da adottare. Insomma c’è molto lavoro da fare e ci auguriamo veramente che la storia del Patto non finisca qui, perché altrimenti finirebbe per essere un altro frustrante parlare nel vuoto. Il Carducci e moltissime altre associazioni e cittadini sono a disposizione. La nostra società è ancora viva e merita una guida autorevole capace di ascoltare e decidere.
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