di Leonardo Giorgi (foto di Giusy Marinelli)
«Scendere in campo e divertirsi? Non è solo una cosa marchigiana. Gli italiani sanno divertirsi. Un popolo combattente, ingegnoso, di fantasia e classe». Quando Roberto Mancini parla di fantasia e classe c’è da fidarsi. Anche se forse, a sentire tremare il palazzetto Ezio Triccoli, a Jesi quest’estate si sono divertiti più di tutti: sì perché quando il Mancio nazionale mette piede sul palco e saluta il pubblico, i suoi concittadini rispondono con un boato e una lunga standing ovation, tra cori, sorrisi e commozione.
Il “Mancini day” organizzato dal Comune di Jesi e andato in scena questa sera è un successo. Una festa in occasione del conferimento da parte del sindaco Massimo Bacci del titolo di ambasciatore della città di Jesi all’allenatore. All’ingresso, l’organizzazione ha distribuito una cartolina a testa per gli oltre mille accorsi nel palas: un cartoncino con la foto del commissario tecnico della Nazionale campione d’Europa e la scritta “Io c’ero”. Insomma, già alla vigilia, con i biglietti andati sold out nel giro di pochi minuti, era prevedibile che questa notte sarebbe rimasta nella memoria degli jesini. E, sicuramente, anche nella memoria del Roberto Mancini uomo.
Il pubblico è infuocato già al fischio d’inizio: sui mega schermi compare Manuel Locatelli, centrocampista azzurro, che nel tripudio di emozioni alla fine dell’ultima partita a Wembley, con l’Inghilterra fresca di medaglia d’argento, urla: «L’abbiamo fatto davvero!». Da lì, un riassunto di cinque minuti dell’epopea storica dell’Italia calcistica di quest’estate: il 3-0 alla Turchia che ha fatto esclamare a Fabio Caressa «Siamo una macchina da guerra», la doppietta del Loca alla Svizzera, la spizzata di Pessina contro il Galles, la sofferenza e la gioia contro l’Australia, il gol capolavoro di Chiesa contro la Spagna e, infine, Donnarumma che non si accorge di essere appena diventato campione d’Europa.
Prima dell’intervista di Marino Bartoletti all’uomo più atteso, l’introduzione sinfonica degli 11 uomini della Time Machine Ensemble, portati sul palco dalla Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi. Poi i saluti del presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, e dell’assessore allo Sport, Giorgia Latini. E infine, ultimo ma doveroso preambolo, due bambini di Jesi portano sul palco una coppa color platino, dalla forma sinuosa: la coppa europeo è arrivata a casa. E, a casa, ecco che finalmente arriva lui.
Roberto sale sul palco e la platea esplode: la standing ovation spontanea. A Jesi lo raccontano come un uomo riservato e infatti Mancini fa cenno con le mani di sedersi, ma il pubblico ignora le indicazioni del mister e fa di testa sua, come a volte faceva anche lui da ragazzo, con la maglia numero 10. L’applauso va avanti, sarà il primo di una lunghissima serie. Marino Bartoletti ripercorre con il ct le tappe della sua vita e della sua carriera. Occasione per salutare e ringraziare i genitori del Mancio, Aldo e Marianna: «Sono passato a casa tua – dice Bartoletti all’allenatore – e mi hanno riempito di paste e pasticcini. Ecco la dieta Mancini».
Un ricordo e un lungo applauso anche a un grande amico di Mancini, l’amato Michele Scarponi, scomparso tragicamente nel 2017, citato mentre viene raccontato il primo vero amore dell’allenatore, la bicicletta. E poi i primi calci a Jesi: «Io ringrazio Jesi e i marchigiani per quello che stanno facendo, che hanno fatto per me. Sono davvero felice che le Marche siano andate bene nel turismo quest’anno», dice il testimonial della nostra regione.
Gli inizi al Bologna, l’amore per la Sampdoria e l’amicizia con Luca Vialli. «Lo conoscevo dalla Nazionale under 21, giocava alla Cremonese e gli dicevo di venire alla Samp. Poi è successo davvero ed è stato bellissimo». Anni in cui, di Mancini, oltre alle gesta sportive si ricordano anche i turbolenti rapporti con la stampa e i tifosi: «Di quel Mancini cos’è rimasto? Mah, ai tempi ero giovane. Non rinnego niente. Anzi, posso dire una cosa? Io dopo l’11 luglio non rimpiango proprio nulla».
E ancora, dopo le stupende esecuzioni di Un’estate italiana e Seven Nation Army da parte della Time Machine Ensemble, la foto dell’abbraccio tra Mancini e Vialli: «Eh, avevamo sofferto. Semifinali, finali, rigori. Avevamo sofferto. Ma alla fine l’Italia si è meritato la vittoria. Tra me e Vialli c’è qualcosa di speciale. Una vita insieme. Cinquanta giorni tanto intensi» racconta Mancio, ma senza sbottonarsi troppo. C’è tanta commozione nelle sue parole e nel suo sguardo. Meglio pensare al futuro: «Fino ai Mondiali ci sono. Poi vediamo» e sorride all’urlo di un tifoso dal pubblico: «Vieni alla Juve!». «È stato bello in effetti – racconta Mancini – vedere tutti i tifosi uniti, quelli della Juve con quelli dell’Inter, quelli della Roma con quelli della Lazio, e così via. È stato emozionante».
Bartoletti, allora, ricorda un’intervista di tanti anni fa. «Mi dissi una volta che a sessant’anni avresti allenato l’Italia. E invece mi hai detto una bugia. Ci sei arrivato a 54. E sei campione d’Europa prima dei 57». È tempo di salutare. Mancini scende dal palco, ma la serata non è finita. Si concede a foto, autografi, saluti. Chiama i bambini sul palco a farsi le foto con la coppa d’Europa. Non va di fretta, ma non si trattiene mai troppo. Guarda sempre avanti. Non è un caso se, prima di congedarsi, accenna un sorriso e dice: «Speriamo di farne altre di serate così. Magari verso gennaio 2023…».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati